giovedì 30 aprile 2009

Fyxomatosis

Oltre a Zlogblog citato in un altro post, un sito interessante è Fyxomatosis. Che non è una malattia delle piante tipo peronospera ma una declinazione ciclo-underground stile Urban Velo ma con un lettore più di nicchia. Prossimo!

Sinister Bikes ma in realtà Frank the Welder.

(Image courtesy of sinisterbikes.com).
Di Sinister scrivo non tanto per i prodotti - una gamma solida e senza fronzoli - ma perchè ne fa parte Frank the Welder (o per gli acronym-oriented FTW e non, mi raccomando, WTF che significa what the fuck, ok?). La domanda è: chi era Frank the Welder? Lo conosco per un semplice motivo che, visto che chiedete, sarebbe questo. La mia prima mountain bike la compero nel 1989, il primo giro lo faccio con un gruppo legato al negozio Scavezzon. Era un piccolo manipolo di early adopter, con telai tipo SlingShot Boomtube, Boulder Biycles (una delle prime full) ed una stupendissima Yeti Ultimate con pedivelle Bullsey bianche, che anche a distanza di 20 anni mi provocano un attacco di salivazione accentuata. Dicevo? Questa Yeti aveva un attacco manubrio giallo della Answer? della Easton? della Yeti? Non ricordo. Era giallo, di questo sono certo ed oltre al marchio, portava l'acronimo FTW (e non WTF, mi raccomando again). Il mondo poi si evoluto, John Parker ha lasciato la Yeti e Frank the Welder ha seguito altre strade. L'ultima delle quali lo porta a Sinister. Da tutto ciò deduco che questo post ha più a che fare con Amarcord di Fellini che con i telai in alluminio. Ma sono giorni che faccio 40 km al giorno sotto l'acqua, qui nel nord est che produce(va) e questo passa il convento. Amen.

mercoledì 29 aprile 2009

..vado a vedere Ibis

Contributo di Davide Bonandrini

Ieri ho letto su Orme le sensazioni tarantoliane sulla Ibis Mojo SL.
A me questa bici piace. Ma amo ancora di più il marchio. Perchè è il marchio che ha dato il là a DSB. Era il 1993 credo, ho mandato un fax a Scott Nicol dicendogli che volevo vendere Ibis in Italia. Ai tempi io ero "responsabile del credito" (quello che chiede i soldi a chi non paga.....) in Cartiere Pigna. Non mi manda a stendere, anzi. Tre, due, uno... decido parto per Sebastopool e vado a vedere Ibis e poi con loro in macchina andiamo a Mammouth Lake per vedre il team Ibis XC e la mitica Kamikaze.

Non avevo mai viaggiato per il mondo. A Heathrow mi sentivo fuori dal mondo: un aeroporto dove devi prendere il pulman per muoverti al suo interno. Idem Los Angeles. Arrivo a San Francisco prendo un pulman per Orange County e, liberi di non crederlo, l'appuntamento era in un piazzale di un supermercato alle 10 di sera. Ancora oggi mi vengo in mente, seduto sul mio trolley che mi chiedevo: ma arriverà mai ??' "Che cazzo ci faccio qui ????" Sono stato a dormire a casa sua, una casa (per me bellissima) in mezzo alla natura, nel senso che davvero eravamo in mezzo ad un bosco con i rami degli alberi sopra il tetto e che entravano quasi in casa. Qui ho incontrato Skusc, il suo gatto: aveva 17 anni. E' anche il nome che poi anni dopo ho dato al mio gatto.


Ibis ai tempi era vera artigianalità ma zero capacità di fare business. Producevano meno di 1000 telai ed erano in 10 a lavorarci. Il destino era segnato, bastava estrarre la calcolatrice da una tasca (neanche le risorse che negli anni successivi Vittoria mise salvarono Ibis dal fallimento). Ma ai tempi anche io ero un innamorato e quando sei innamorato non ti accorgi mai di nulla.
Parto con Scott ed un suo amico su una di quelle familiari americane lunga 6 metri. 600km di strada in macchina con due che per tutto il viaggio continuavano a scoreggiare, poi aprivano i vetri e mi dicevano: "sorry". Affanculo pensavo.

A Mammouth sono ospite del team. Un appartamento 8 posti letto: eravamo in 25. Io dormivo in cucina sotto il tavolo. Nel Frigo tutto quello che c'era dentro aveva i pos-it con i nomi dei proprietari del cibo. Mi ricordo la prima telefonata a casa (ai tempi magari non lo ricordiamo ma i cellulari non esistevano): piangevo e dicevo ma che cosa ci sono venuto a fare qui... Poi mi sono piano piano abituato.
Esisteva un'area espositiva che ai tempi rivaleggiva con le fiere di settore. Potevi veramente vedere i marchi cult come Fat Chance, Ringlè, Grafton, Yeti (la Yeti di Parker)... l'anodizzato e il CNC comandavano nel mercato. Pensare ad una bici tutta Shimano o Suntour era da "sfigati". Qui mi imbatto in una sella in Kevlar Blue. Amore a prima vista. Gli chiedo se ha qualcuno che la vende in Italia. Jerome mi risponde di no e che sarebbe felice di avere qualcuno dato che lui è di origni italiane, infatti si chiama Mezzasalma. Poi vedo Speedplay, e anche loro mi danno fiducia.

Avrei mille aneddoti su questo viaggio per me veramente alla "scoperta del mondo".
Con un rammarico, Ibis non ha mai volato con me.

Boreale Mountain Biking

(Image courtesy of borealebiking.com).
Whitehorse, secondo google maps, si trova a 5.948 km da New York. Prendi poi una nave e sbarchi, poniamo a Rotterdam. Rotterdam casa mia sono 1.399 km. Morale: 5.948 + 1.399 = 7.347 km. Non credo sia un posto dove molti di noi possano andare nel futuro prossimo. Detto questo, ho notato la pubblicità di
Boreale mountain biking su nsmb.com e ne sono rimasto incuriosito. Whitehorse era una tappa lungo la via che portava al Klondike. Verso la fine dell'ottocento quest'ultima regione fu invasa da ottimisti cercatori d'oro, la cui febbrile ricerca non durò a lungo, giusto il tempo di creare vie di collegamento tra i vari centri di estrazione e gli avamposti dove i disperati vivevano. Loro non sapevano che più che cercare l'oro, l'oro loro (scusate) lo stavano creando. Singletrack! In abbondanza! In mezzo alla natura! Con gli orsi! Le alci! Le aquile! A me dell'oro non è che interessi molto, certo mi piacerebbe però percorrerne le tracce.

martedì 28 aprile 2009

Ciclofatica

Il primo atto che come umani compiamo è quello di nascere. Dico atto perché le ricerche hanno dimostrato in modo chiaro che il cucciolo umano durante il parto non è materia inerte che la madre con grande fatica “espelle” da sé, ma soggetto attivo di un gioco di squadra in parte geneticamente programmato.
Questo primo atto è un atto di transito, di movimento di attese e di improvvise accellerazioni. Ma è un atto che porta con se anche molta sofferenza e molto piacere almeno per i genitori, piacere che possiamo immaginare provi anche il nascituro che stretto nell’utero della madre deve cercare una via d’uscita per proseguire la sua vita.
Bene quest’immagine si è fatta strada nelle mia mente in seguito ad una discussione apertasi sul blog dei Los Lobos (Battesimi).

Provo a sintetizzare le posizioni. Da una parte c’è chi dice che lo spirito con il quale va in bicicletta è uno spirito orientato al conseguimento del piacere: la via edonica.
Un altro fronte invece afferma che l’andare in bicicletta è un’attività che include la via edonica ma che non può prescindere dalla sofferenza.
Mi pare che le due posizioni estremizzino due approcci, che colloccherei all’interno di un continuum, nessuna delle due può forse essere data in modo puro ed assoluto.
Chi si colloca sul versante edonico, sembra essere, quasi spaventato che al piacere possa essere accostata la sofferenza (direi che si potrebbe parlare, per alcuni ciclisti, quasi di una perversione l’accostamento piacere sofferenza), mentre chi si colloca sull’altro versante tende a dare importanza a certi aspetti meno immediatamente riconducibili al piacere. Aspetti che a mio modo di vedere funzionano da mediatori del piacere, direi quasi da “costruttori” del piacere stesso.
Uso la parola sofferenza e non fatica perché mi pare che renda in modo più compiuto la complessità dell’azione dell’andare in bicicletta.
La fatica richiama ad uno sforzo che si compie ma viene in genere riferita ad un “lavoro” fisico.
Sofferenza ha nel suo etimo latino il germe che mina la soddisfazione edonica del piacere nel fare qualche cosa che ha dell’eversivo (dal punto di vista del piacere): procrastinare. Sub-ferre recita l’etimo latino: sopportare, senza questo passaggio mi pare che non ci possa essere piacere.

La mia provocazione nel dibattito sul blog dei Lobos va nella direzione di estremizzare e al tempo stesso meticciare le due posizioni. La dico in modo semplice: secondo me se si potesse escludere totalmente la sofferenza dall’attività ciclopedalatoria scomparirebbe l’attività ciclopedalatoria per come la conosciamo e probabilmente molto del piacere che essa ci regala. Come se si potesse pensare di evitare la sofferenza durante la nascita. Lo si può fare lo si fa ma l’esperienza che viene vissuta è un’altra esperienza; non meglio non peggio semplicemente un’altra esperienza; in natura la sofferenza del partorire è ineludibile sia per il pupo che per la madre.
Ma penso anche che una pratica ciclopedalatoria solo orientata alla ricerca della sofferenza possa per ovvi motivi mortificare irrimediabilmente qualsiasi piacere.
La pratica della bicicletta si fonda su di un atto solitario spesso agito in gruppo: tale condizione permette di utilizzarlo come veicolo di conoscenza di sé.
Ogni ciclista rimale libero di includere in questo atto più parti di sé, io per me includo sicuramente la sofferenza, ma certamente non è il mio fine e non è il solo elemento incluso.
Per me la sofferenza, entro un certo limite, rimane, nel pedalare, un fondamentale alleato da cui cerco di tenermi a dovuta distanza ma dal quale non mi posso distaccare completamente.

Contributo di Emanuele "EMA" Gandolfo

Charge Bikes (Uk)

(Image courtesy of chargebikes.com).
Charge bikes from the Uk. Per condensare in poche parole: un marchio in rapida ascesa. Perchè? Hanno la rara capacità di essere a-la-page senza che però questo significhi stile senza sostanza. Anzi. Sono hardtail ed accessori funzionali e solidi, dal prezzo abbordabile e con il vantaggio aggiunto di avere una personalità speciale. Non sono importati in Italia e non mi capacito di questo. Charge rispetto ai concorrenti ha il dono di essere (lo dico?) l'iniziatore di una moda. Dove con moda s'intende la capacità di cristallizzare in un prodotto uno stile di vita che è nell'aria. Nell 'aria era: voglio andare in mountain bike senza sentirmi una versione offroad di uno stradista. Charge rispetto ai concorrenti oltre al corredo tecnico, possiede anche un'impalpabile ma percepile aura di fighezza. Che questo sia importante o no è cosa di relativa importanza. Charge è per chi vuole un mezzo performante ma anche dotato di un charme cittadino.

lunedì 27 aprile 2009

un giro su Ibis Mojo SL


Szazbo, BowTi e il celeberrimo passacavo per cantilever "handjob". Metà anni novanta.
La california è l'epicentro di un vero e proprio calderone creativo che investe la mountain bike. Si distingue tra tutti un marchio che passerà alla storia come uno dei più significativi: Ibis.
Chiunque pedali una bici da montagna dall'epoca dei pneumatici "Farmer John's Cousin" sa benissimo quanto Ibis sia sinonimo di quell'irripetibile periodo, e che magia abbia quell'effige di uccello che campeggia in testa ad ogni telaio..
Magia alla quale è difficile resistere.

Un amico che presta ad un amico una Ibis Mojo SL è davvero un amico.
Il discorso fila giusto?

Credo che la forma e le sembianze di una bicicletta siano espressione di tecnologia, funzionalità e, non per ultima, bellezza allo stato puro.
Una bellezza purtroppo materiale ed inerte. Senza vita.
La cosa stupefacente è che a questa espressione è applicabile un movimento..
Stupefacente. Significa nella mia testa che io posso correre su un espressione d'arte (la bici), donarle il movimento, un pensiero e quindi la vita. Lisergico? Forse.
Mi piace quindi cavalcare bici da sogno e per un giorno esserne il soffio vitale.
Adoro farlo. Principalmente per il piacere e per gustarne a pieno il fascino.
Nessun giudizio. Nessun report di guida. Che senso avrebbe....
E' bellissima. Questo vi dico.

Photogallery
foto luca-orlandini.com

www.ibiscycles.com
Ibis è distribuito in Italia da 4guimp.it

domenica 26 aprile 2009

Karpiel is back (but...)

(Picture courtesy of karpiel.com)
Chi ricorda
Josh Bender? Nomen omen, nel nome il destino. Tipo che uno si piega (bend) ma non si spezza. Josh Bender era una sorta di unabomber che faceva mountain bike. Ricordo di aver letto un articolo dove diceva di aver passato 5 anni di quasi solitudine in una zona remota dello Utah, destinata poi a diventare famosa per la Red Bull Rampage. Josh Bender era (è) uno psicopatico schivo le cui tendenze suicide non servivano tanto per fargli avere copertura media, ma proprio perchè qualcuno ce l'ha nel sangue di farsi male. Ricordo un pezzo su Bike Mag dove si raccontava (con tanto di supporto fotografico) come il demente si fosse buttato giù tipo da 10/15 metri "to flat landing". Voglio dire, allora te la cerchi. Compagno di tanti tentativi (di farsi fuori) era un telaio Karpiel. Jan Karpiel è un nativo ceco, della repubblica Ceca voglio dire. Si trasferisce negli Usa ed un certo punto della sua vita pensa che sia il caso di fare bici per aspiranti suicidi. Jan, questo è Bender. Bender, questo è Jan. Karpiel ha di fatto creato le bici da freeride "estremo", scusate virgoletto la parola perchè mi provoca sempre qualche brivido di disgusto ma è giusto per capirci. Per qualche anno le Armageddon, le Apocalypse e le Disco Volante (come un disco dei Mr. Bungle) hanno rappresentato il non plus ultra per gli amanti dell'auto-violenza. Karpiel scompare per qualche stagione per tornare a far parlare di sè recentemente. La nuova Apocalypse ha due ammortizzatori (per il disegno si è ispirato ai carrelli degli aereoplani, dice Karpiel) per un totale di 25 > 31 cm di escursione (??). Anche se i numeri sono demenziali, dal sito posso dedurre che i telai sono stati alleggeriti e che le nuove Karpiel mantengono sì la radicalezza (sic) del passato, adeguata però a tempi moderni. E' un marchio che ha fatto la storia ed anche se dubito che mai ne avrò mai una, mi fa piacere che Karpiel sia tornata tra noi. Altre foto, qui.
Update: leggo dal sito della Duncon, che questa e Karpiel si sono fuse in una unica azienda. Di cui mi sfugge se si chiamerà Karpiel, Duncon, Durpiel o Karpon. Non ne ho idea. Volevo scrivere qualcosa sulla polacca Duncon e lì ho trovato questa shocking news.

sabato 25 aprile 2009

Spooky Bikes

(image courtesy of spookybikes.com)
In home c'è scritto: these guys need you to buy stuff (questi ragazzi hanno bisogno che voi comperiate qualcosa). Possono non essere simpatici? Spooky vuol dire sinistro o pauroso ma se c'è una cosa che questi derelitti del Massachusetts hanno è il senso dell'ironia. Sono della zona Boston, per cui costa est per cui: radici, controcultura, Dirt Rag, inverni lunghi ed un generale senso di svaccamento. Basta leggere i testi del sito o vederne le foto. Tutto all'insegna dell'artigianalità (ma non quella di Vanilla o di Crisp), tutto secondo la filosofia del non prendiamoci (troppo) sul serio. Non che i prodotti non vadano o siano fatti in maniera superficiale. Spooky nella sua prima incarnazione era un po' il padre putativo delle hard tail hard core (h.t.h.c) con pedali flat e forcella con molta escursione. Un po' dirt un po' allmountain stile New England, cioè, mi dicono, ultra tecnico e molto lento. Spooky ha un paio di telai rigidi, di cui uno, dal gradevole nome di Horror Taxis, pensato per ruote da 27,5 (o 650b), uno da ciclocross che loro definiscono così: "Supertouch frames are Hot. Molten. Light. zoom hiss snappple boom kerrchink! ". Giusto per dire, la prima parte significa qualcosa, la seconda è onomatopeica. Poi una bici da strada con grafiche Spookyose. Diverse t-shirt (belle) e calzini con la pecora di out of step dei Minor Threat (gruppo hard core della zona di Washington DC, inventore del punk vegetariano. Giuro. E' il mio gruppo preferito). Morale: chi ama la bio-diversità culturale si può ritrovare in Spooky, per gli altri è giusto sapere che esistono. Prossimo!

giovedì 23 aprile 2009

Evil bikes e la grafica coordinata


(image from bikemag.com)

Di Evil bikes è interessante il sistema ammortizzante by Dave Weagle (DW-link), del tutto diverso da quello di Iron Horse, per dire. Mentre leggevo una press release di DaKine (che amplia la sua gamma abbigliamento mountain bike), ho notato la nuova grafica della bici di Thomas Vanderham, una Evil appunto, che pare essere coordinata con il casco. O vedo male? (sic).

mercoledì 22 aprile 2009

26 + 29 = 27,5

Kirk Pacenti sembra essere il padre di questo nuovo movimento ruotistico. La cui filosofia si può così condensare: se 26 è troppo piccolo e 29 troppo grande, allora 27,5 è la misura giusta. Giusto? Non saprei. Sta di fatto che non è solo Pacenti Cycles a produrre questa equidistante misura. Secondo questa lista vecchiotta di Dirt Rag numerosi piccoli costruttori hanno telai per le ruote di mezzo. Proprio su suggerimento di Pacenti, che voleva una trail bike con ruote semi-grandi, anche Ventana ha svelato di recente un 27,5 dal nome peculiare di el Bastardo. Leggo da wired.com che Sherwood Gibson (padre di Ventana) ha battezzato l'ultimo nato così per la sua ibridezza congenita. Questa taglia sembra combinare la capacità di passare sopra a tutto (come le 29) alla possibilità di schivare tutto (come le 26). Tipo agilità e forza. Il dubbio rimane sempre: publicity stunt (come dicono gli americani) o vera rivoluzione?

Wildfire Designs Bicycles

Questi vengono da dove Sarah Palin viene – Wasilla, Alaska. Non vogliono essere i prossimi presidenti degli Stati Uniti, si limitano a fare bici con le ruote grosse. Ma insomma.

Pedersen Bikes

(Image courtesy of Pedersenbicycles.com)
La scorsa estate sono stato in Danimarca. In bici e proveniendo da berlino. Secondo questa classifica Copenhagen è la terza città più bike friendly al mondo. Il 32% dei lavoratori va in ufficio o in fabbrica in bici e faccio presente che il clima danese non è di tipo mediterraneo. Le ciclabili sono abbondanti e le persone sfrecciano a bordo dei più singolari mezzi. Tipo le Christiania bikes (di cui parlerò un'altra volta) e le Pedersen. Una foto vale di più di mille parole per cui guardate il sito e dite cosa ne pensate nei commenti. Ricordo una marea di Danish young urban professionals vestiti con abiti Canali e scarpe Alden andare decisi verso ignote destinazioni a bordo di queste inusuali bici. Hanno una sella "sospesa" e nel sito di Pedersen paragonano la struttura a traliccio a quella di un ponte. Forse che la bici è un ponte verso l'infinito o forse che la struttura longilinea ed essenziale delle Pedersen tradisce invece un'anima d'acciao. Sta di fatto che sono originali originali e c'è il rischio che vadano anche bene. Non le ho provate per cui non posso dire. Qualcuno le conosce? Provate? Piaciute? Chi sa, parli (qui sotto).

martedì 21 aprile 2009

Video

Per cortesia, guardate questo video. E' un ordine. (da singletrackworld.com).

Swobo e la bici, una storia moderna (??)

(Image courtesy of swobo.com)
Tutti conoscete Swobo, giusto? La quintessenza del pensiero laterale ciclistico. Toni di leggero svaccamento edonistico come se andare in bici non dovesse essere necessariamente tragedia, disperazione e morte (altrui). Capito come. Una versione due-ruotizzata della contro cultura di san Francisco. Presumo che il fondatore Tim Parr ascoltasse più i Dead Kennedys che gli Eagles, per dire. Per dire cosa? Per dire che poi l'azienda è morta ma il terzo giorno è risorta. E dalla tipica t-shirt counter-culture-style e dal cotone organico e dalla lana merino e dagli short e da tutte le cose stile Mike Ferrentino insomma Swobo è passata a fare quello ma anche telai. Semplici e sempre su toni di moderata astrazione ciclistica. Ma piuttosto carini. Linee essenziali ed un mix di influenze che l'occhio esperto coglie. Tipo mescolare pedali flat e single speed, o un mezzo da ciclocross che in realtà si presta bene anche al turismo alternativo (cioè al alternativo che fa il turista, volevo dire). Insomma a me piacciono molto. Niente di innovativo o come si direbbe efficacemente in inglese, nothing mind-blowing. Un prodotto di solida fighezza urbana che certo non vi farebbe sfigurare alla prossima sei ore di Cremona (o Poggibonsi, o Ravascletto). Capito come.

lunedì 20 aprile 2009

Orco Cicli

Un laboratorio di design? No è Orco Cicli. La loro sede è l'alcova che tutti noi appassionati di biciclette vorremo avere. Sono un consulente, un fotografo ed un giornalista. Tre ciclisti, meccanici appassionati, che hanno realizzato un sogno.

Li immaginiamo come nelle fotografie del loro sito: un sottofondo musicale, un buon calice di rosso accanto alla valigetta di attrezzi campagnolo, e le mani sporche di grasso che reggono un telaio.... Biciclette per la città, le gite o i viaggi costruite a mano con la cura che di solito è riservata a quelle da corsa. Questo è Orco Cicli. Acciaio, congiunzioni saldobrasate, telai disegnati apposta e tanta cura che sfocia nella passione. Palmiro, Nilde, Preta, Spicciola e Grendel. Fateci un giro. www.orcocicli.com

Foto orcocicli.com

Rapha

Credo che Tarantola abbia già in precedenza parlato di Rapha. Si? No? Forse? Se è già stato fatto, sorry about that, ma repetita iuvant. Rapha, dall'Inghilterra, è l'azienda più stilosa vista negli ultimi (tanti) anni. Hanno un gusto sofisticato-dandy. Fanno prodotti per bici da strada con uno stile più adatto allo struscio downtown (a Londra, no a Rho) che alla Milano-San Remo. Rapha mi ha stupito a tal punto che per la prima volta ho potuto pensare che esista un futuro (cromaticamente parlando) per gli stradisti. Non c'è bisogno che vi dica che il concetto di tinta unita e sobrietà per uno road racer è estraneo come quella dell'esistenza di Dio per il matematico Odifreddi. Rapha ha il capo di abbigliamento più fantasticamente caro che io ricordi (ed ho la memoria lunga). Questa giacca in Schoeller tweed in edizione limitata è semplicemente strepitosa e costa (solo) 550€. La bellezza si paga. E questa è la morale di oggi.

domenica 19 aprile 2009

Industry9 wheels - test lunga durata

Industry Nine
Premessa necessaria: sono il più improbabile dei tester ed esattamente per questa ragione sono un tester perfetto. Non sono in grado di regolarmi la forcella e devo sempre chiedere assistenza al mio amico Gionfri anche per i settaggi più basici. Ho sempre pensato che il mio parere non debba essere espresso e tanto meno considerato perchè di tecnica capisco zero. Incredibile a dirsi, questo è il mio punto di forza.  Why? Perchè la mia insensibilità emotiva verso gli oggetti mi permette di matrattarli senza ritegno, senza cura, senza attenzione, senza pazienza. Se resistono, ne deduco sillogisticamente che la loro qualità è ottima. In sintesi: non capisco niente di regolazioni > non mi curo di niente > vado in bici come un cane ( da cui il mio soprannome)  > ingrasso la catena quando mi ricordo > gonfio le sospensioni quando vanno a pacco dopo un salto (e mai, mi raccomando, prima).Per cui? Resiste a me? Resiste a tutto. Ho avuto l'occasione di conoscere i titolari di questa piccola azienda del North Carolina. Erano in vacanza in British Columbia ed anche io ero da quelle parti. Io conoscevo Noel Buckley di Knolly, loro erano grandi sostenitori di quei telai, In breve siamo andati a mangiare tempura (giapponese) in un centro commerciale a sud di Vancouver. Abbiamo fatto due chiacchere e da quella volta ho cominciato a seguirne l'evoluzione. Infatti il mio motto è: se non riesci a seguire la tua di evoluzione, segui almeno quella degli altri. Dicevo? Al tempi il marchio era ancora molto underground ma già ne era chiaro il posizionamento: prodotti leggeri con una robustezza e rigidità d'assieme con pochi uguali. Su queste caratteristiche posso testimoniare in prima persona e non occorre che vi rispieghi il perchè. Il prodotto è interamente fatto in casa, a parte i cuscinetti. Ultimamente si fanno anche i cerchi. Sono ruote molto leggere e, secondo le letteratura ufficiale I9, "la costruzione in alluminio migliora in maniera significativa la rigidità laterale rispetto ad un raggio tradizionale (n.d.r. confermo). " Dicono anche "il nostro progetto permette di eliminare la curvatura a j e l'interfaccia raggio/nipple. Invece i nostri raggi si avvitano direttamente al corpo del mozzo con una filettatura di spessore maggiore del corpo del raggio stesso". In altre parole: il raggio non si curva, si avvita direttamente al mozzo (come i Pulsar di un tempo), non c'è lo stress dovuto alla curvatura del raggio, i raggi sono di alluminio leggeri e robusti perchè sovradimensionati ed alla fine della fiera quello che si ottiene è una ruota dalla robustezza bastardissima e che dopo 7 mesi di utilizzo malsano ed ingrato non ho mostrato alcun segno di debolezza. Ripeto: non sono un tester ma se resiste...
Industry Nine è distribuito in Italia da raceware.com 

6h single speed Cremona.

come era prevedibile, la sei ore di single speed di cremona ha attratto la sua tipica dose di svaccamento competitivo. cioè vinceva che si fermava di più ai box (box?) per fare due chiacchere. mentre i corridori regolari, con il cambio, scattavano e si davano il cambio per tirare la volata. il mondo è bello perchè è vario, no?

detto questo, io non ho una single speed (ma c'è l'avevo negli anni novanta) e per tanto nonostante le insistenze di spiedo non ho partecipato alla gara (gara?). mi sono però fatto i 240 km (andata) e 240 (ritorno) per annusare quella particolare atmosfera di goliardia e deboscio (deboscio?) che è tanto cara a questa specialità.

che dire? mi è piaciuta! oltre alla fauna umana, varia e divertita, un sacco di inventiva e creatività ciclistica era in mostra: da vecchie glorie trasformate in single speed a qualche chicca difficile da vedere in altri posti se non qua. tipo? tipo singular cycles (dall'inghilterra, molto bella), una crisp in titanio (tempo fa lo siamo andati a visitare), una spot, una del tutto a me sconosciuta vassago (??) più una serie cromaticamente simile di zullo marchiate los lobos, alias fenomeno Frau Blücher ...decadenza...decadenza...long live singlespeed...amen..

alcune immagini (photogallery) catturate da chi (tarantola) si era imposto di correre e poi ha trovato il divertimento nel Lobos Village...

giovedì 16 aprile 2009

Il passatore

Correva l'anno 1989. Di solito si inizia così. Cinelli presenta una bicicletta non classificabile, talmente sperimentale che si ritrova etichettata (con crudeltà) come ibrido. Non è una mountain bike, non è una bicicletta da strada. Ruote da 28 pollici artigliate, piega stradale atipica, rapportatura da mtb e comandi da ciclocross.
Non un semplice esercizio di stile, ma una bicicletta sinonimo di nuove idee. Avanguardia per il periodo.
Una bicicletta fuorilegge che viene intitolata ad un leggendario fuorilegge. Il passatore.
Il Passatore o, secondo la definizione di Pascoli il Passator cortese, era un brigante che con le sue gesta infiammò la Romagna della metà dell'ottocento. Se proprio volete un Robin Hood italiano.

20 anni di attesa appeso come un salame al soffitto di un negozio. Ancora nuovo e immacolato. Poi ci è capitato tra le mani. Ora abbiamo intenzione di fargli recuperare il tempo perso.
Tranquillo brigante! Ora si parte...

photogallery
Wallpaper

mercoledì 15 aprile 2009

Tout Terrain Panamericana

Tout Terrain è una piccola azienda teutonica (genau!) che si sta ricavando una nicchia in un settore particolare: il turismo fuoristrada (in bici). Non so se questo sia un trend in crescita. Non ho dati al riguardo e quindi piuttosto di dire eresie che pure mi viene facile, taccio. Posso dire solo la mia sensazione. E cioè che si, secondo me, il turismo in bici ed il turismo in bici fuori dalle strade più frequentate (c'è del poetico in quest'ultimo endecasillabo sciolto) sta cominciando ad avere un pubblico. Nicchia delle nicchie quanto vuoi ma se esistono aziende che producono significa che esistono clienti che richiedono. Comunque sia, se del doman no v'è certezza, tantomeno di quello che sto dicendo. Per cui? Andiamo avanti. Tout Terrain ha due prodotti secondo me speciali. Il primo si chiama Panamericana, è ed un full suspension progettata con portapacchi integrato. Cosa significa? Che la sospensione non viene gravata dal peso delle borse perchè le borse sono attaccate alla parte rigida della bici. Capito? No. Immagino. Una foto vale più di mille parole, il link l'ho già messo. Poi? Il secondo prodotto è una forcella Maverick a steli invertiti, già in commercio da un bel pezzo, che però i ragassi di Tout Terrain hanno completato con un attacco per le borse. Nel sito dicono che è un progetto a più mani. Cioè non è un adattamento della Maverick fatto da loro ma loro lo hanno fatto con la Maverick itself. Cià credo che significhi che oltre all'attacco delle borse anche l'idraulica sia stata un po' rimaneggiata. Gli altri prodotti sono più regolari ma non per questo privi di fascino. Anzi. Non mi risulta sia distribuita in Italia o se lo è e qualcuno ce lo facesse sapere, sarebbe stupendissimo. Bis bald!

martedì 14 aprile 2009

Flat pedals



Qualche anno fa Dirt pubblicò un articolo sulla filosofia dei pedali flat. Non tanto sulle loro caratteristiche tecniche, quanto piuttosto su quello che il loro uso comporta. Cosa comporta? Sembrerebbe che usare i flattoni significhi avere un atteggiamento più epicureo (che stoico). Un approccio meno legato alla prestazione tout court. Un leggero svaccamento disciplinato, per così dire. Da tre anni a questa parti in effetti i flat li uso anche io (questi, se può interessare) e devo dire che per molti versi sono stati una vera rivelazione. In discesa soprattutto nel tecnico, a mio avviso, danno una sensazione di sicurezza sconosciuta ai pedali a sgancio. In salita io non sono una scheggia ma con dei bei pin e con scarpe con grip (5.10, of course) la sensazione è di essere quasi incollati al pedale. Dal punto di vista filosofico, ho poi capito cosa intendeva il redattore di quel articolo. E' una sorta di viaggio a ritroso, dove il focus è nella compagnia, nel paesaggio, più che nell'arrivare in cima per primi. E' forse purismo di ritorno od un antidoto agli anni che passano: non ho fatto salti da ragazzino, li faccio allora adesso (a quarant'anni abbondanti). Sia quello che sia, ho regalato le scarpe spd e, giusto per coerenza, il mio viaggio di circa mille km con bici e carrello della scorsa estate (Berlino/Rostock/Copenhagen/Malmoe e ritorno) l'ho fatto con pedali Easton e Vans. Mi sono trovato benissimo e vuoi mettere lo stile.
(immagine da twenty6products.com)

domenica 12 aprile 2009

Chromag


Chromag è una piccola ditta canadese. Canadese di Whistler, British Columbia. A passarci Whistler sembra una qualsiasi “turist trap”. Tutto per il turista, negozi, alberghi, un enorme parco giochi per l’estate e per l’inverno. Sembra un posto di plastica. Ma non lo è. C’è una comunità allargata di ski bum e di malati di bici, oltre a qualche persona normale che non soffre delle due precedentemente enunciate ossessioni. Ian Ritz, fondatore e proprietario di Chromag si trasferisce a Whistler per “vivere il sogno”. Su di questo argomento potremmo aprire un dibattito. A casa mia a 18 anni si pensa a tenere a bada gli ormoni e pochi sono gli eletti che hanno la determinazione di prendere e partire. Come dire: cari genitori, oggi ho finito le scuole superiori. Mi trasferisco a Les Gets. Ci vediamo. Ciao. (…..). Oltre ad essere una storia socio-culturalmente tipica del nord america, è interessante anche per come Chromag si è sviluppata. Chromag si è ingrandita grazie ad uno sforzo comunitario di cui lui, Ian, ha avuto la fortuna e l’intelligenza di essere a capo. Una sorta di, per usare un termine di moda, collettivo grazie al quale la ditta si è evoluta rapidamente, diventando uno dei marchi forse più rappresentativi della mountain bike 2.0.
Siccome sono curioso e siccome Ian è gentile gli ho fatto qualche domanda.
Queste le sue risposte.

www.chromagbikes.com

In Italia Chromag è distribuito da:
www.velobikestore.com

Polonia? Bulgaria?

Non credo che Tim Berners Lee potesse immaginare come la sua invenzione avrebbe per sempre cambiato la storia. Internet ha ridistribuito la conoscenza indipendentemente dal territorio, portando ad un livellamento (verso l'alto) dei popoli. Internet è il responsabile della nascita di molte piccole aziende in zone, per così dire, logisticamente decentrate. Antidote e Zumbi sono polacche, Ram bulgara. Quest'ultima ha una gamma di prodotti impressionante e sembra avere una distribuzione piuttosto consolidata in Inghilterra (mercato più evoluto in Europa). Zumbi ed Antidote hanno prodotti più di nicchia, specialistici e ben studiati. Non ho idea delle performance di alcuno di questi marchi anche se googlandoli ho trovato diversi articoli e commenti (positivi). Sono prodotti che certo non tradiscono zone di provenienza così inusuali. Potrebbero essere americani o tedeschi. In fin dei conti, se devo dire, è anche ormai banale parlare di provenienza e territorio. Il digital divide, quella faglia culturale che divide chi è collegato e chi no, cioè chi è parte della società 2.0 e chi non lo è, sta ormai sparendo. Cosa questo significa è presto detto; che non ha alcuna importanza dove abiti, importa solo che cosa hai da dire (o cosa sai fare).

Florilegium settimanalensis (best of)

Non c'è bisogno che vi dica che negli ultimi due/tre anni la Scandinavia è "all the rage" come dicono gli americani. Gli svedesi ed i norvegesi sembrano aver metabolizzato il gusto europeo e quello americano ed averli fusi creandone una versione propria. Dallo stile lineare e con forti contenuti innovativi. Poc per esempio. Da Stoccolma, li ho visti per la prima volta nelle pagine di Powder, bibbia americana del fuoripista (con gli sci). Dedicati alla protezione con una particolare predilezione per i caschi. Dalla neve alle due ruote il passo è stato breve. Hanno assoldato anche Andrew Shandro, per dirne uno, responsabile dell'evoluzione in chiave freeride di Trek e direi anche in parte di Nike (6.0). Se il buon giorno si vede etc etc // Sembra che Iron Horse sia in crisi d'identità. Secondo Bicycle retailer l'azienda americana è insolvente verso tre fornitori cinesi. Sembra sia in trattative con il Gruppo Dorel (Cannondale, GT, etc) per essere rilevata e sembra anche che tutti i problemi siano cominciati quando Dave Wegle ha deciso di non rinnovare la licenza per il suo sistema (DW link, appunto). Iron Horse ha successivamente concordato con Ellsworth di usare sotto licenza il suo sistema ICT, ma per il momento la situazione è in stand-by. Altre notizie appena le abbiamo // Life Cycles è un nuovo film che, secondo quanto si dice, riscriverà la regole della cinematografia mountain bikechistica (si, insomma, avete capito). Sarà vero? Non ne ho idea, intanto posso dire dire che è girato in ultra definizione con la Red Camera e queste sono alcune foto riprese da Bikemag.com // A proposito di E-13 e Dave Weagle (che ne è il proprietario) a quando questi benedetti pedali flat Staccato8? Sembrava dovessero essere disponibili per fine scorso anno ma per il momento ancora nessuna traccia. Come si suole dire: creare domanda attraverso assenza (del prodotto) // Cannondale sposterà tutta la sua produzione in Far east. E la globalizzazione, bellezza. Fa un po' specie, soprattutto per un azienda che aveva fatto dell'americanità uno dei suoi punti di forza. Ma la casa madre (Dorel) alla ricerca di migliori economie di scala, ha deciso lo storico passo. Giusto per dirla tutta: in molti casi e chi è del settore può facilmente confermare, la qualità della produzione asiatica è superiore a quella americana o europea (soprattutto nel carbonio). Si perde il sapore del made in Usa, ma se tanto mi dà tanto, nel futuro prossimo venturo made in China sarà sinonimo di eccellenza (non è una battuta) // Se volete vedere cosa sta succedendo in Sud Africa nella prima tappa del campionato del mondo di discesa, la casa consiglia mtbcut.com// E' tutto per la settimana.

venerdì 10 aprile 2009

Traitor cycles

Un nostro lettore da Genova (Roberto, grazie) ci ha segnalato un marchio interessante. La ditta si chiama Traitor, da Ferndale, da Seattle in direzione Canada. Traitor è un tipico esempio di come le cose non sono più come erano solite essere. Ormai non ci sono più le mezze stagioni (nè parcheggi, giusto per dirla tutta), e se esistono dogmi, esistono per essere distrutti e se esistono icone esistono per essere frantumate. Cosa volevo dire secondo voi? Ah, si, volevo dire che è un piacere vedere come molte nuove aziende (underground) nel settore ciclistico si divertano a mescolare eccletticamene le più disparate influenze. La bici rimane una bici. Cioè serve sì a muoversi da un punto A ad un punto B,  certo non si può negare  che ditte come Traitor trasudino uno spirito del tutto nuovo. Tendo a lasciarmi fuorviare dall'impalcatura filosofica del marchio (cioè vedo più di quello che esiste), detto questo Traitor ha alcuni prodotti senza fronzoli ma dotati di un indubbio appeal. Oltre tutto, hanno un rivenditore a Vancouver, (sulla Broadway, dopo Mec) che ho avuto l'occasione di visitare. Avevano un negozio simil-atelier, con un telaio della Bianchi rifatto in stile post-moderno, che per un momento mi ha fatto quasi sentire orgoglioso di essere italiano. E' stato comunque solo un momento e poi mi è passato. Mi pare di aver detto tutto. Il sole splende, l'erba spunta, buon singletrack a tutti.

Velo-City, Bruxelles, 12/15 maggio.

Velo-city, Bruxelles 12 /15 maggio. Re-Cycling cities. Cito dalla loro press release: "La conferenza cercherà di esplorare i modi per intregrare la bici all'interno dei tradizionali mezzi di trasporto di massa e di esplorare idee creative per promuovere la bici come mezzo alternativo di trasporto urbano". In altre parole: la bici invece che la macchina, senza essere stirati dagli autobus o dagli automobilisti frettolosi. Mobilità urbana 2.0.

Eco-compatibilità e commercio

Tra le mie varie ossessioni - singletrack, powder, Minor Threat, cani e giacche dell'Arc'teryx - direi che l'ambiente ha un posto particolare. E’ una ossessione incoerente. Voglio dire. Uso la macchina, prendo l'aereo e compero solo bici canadesi (Knolly) e americane (Slingshot), cioè che devono attraversare un oceano per arrivare qui. Per cui chiedo venia a priori per il fatto di scrivere bene ma razzolare male. Sono cosciente di questa incoerenza ed infatti appena il tempo lo permette e come ho scritto qualche giorno fa, vado in bici al lavoro (40 km quotidiani). Cerco insomma di limitare i danni delle mie azioni. Alcuni danni però non derivano da me direttamente ma da come una bici è costruita. Nel grande macrotrend che sia chiama ambientalismo, forse più moda più che convinzione, il rispetto della terra sembra essere una conditio sine qua non per non essere lasciati indietro (commercialmente parlando). Nel mondo dell'automobile questo è chiaramente percepito (ormai al punto che esistono fuoriserie elettriche tipo la Tesla), Ma non mi pare che il mondo della bici sia particolarmente attento a questo aspetto. Ho guardato i siti di tre tra le maggiori case, Specialized, Trek e Cannondale, cercando informazioni a riguardo della loro posizione ambientale. Non ho trovato molto. Per una persona non scientificamente competente (cioè uno che non sa, tipo me) è anche difficile dire che cosa sia in effetti dannoso per l'ambiente. La credenza comune voleva, per esempio, che l'anodizzazione fosse uno dei procedimenti più nocivi per l'ambiente ma secondo questa entry su wikipediain realtà sembra essere uno dei procedimenti meno inquinanti. Come mi diceva Kent Eriksen, fondatore di Moots, una bici soprattutto di alta gamma è destinata a durare una vita ed ad arreccare danno zero durante tutta la sua esistenza. Vero. Sta di fatto che la produzione industriale è intrinsecamente dannosa, per le elevate quantità di energia che deve usare, per gli scarti che deve produrre e per l'incredibile andirivieni a cui i prodotti sono sottoposti. Morale della storia: a differenza di altri settori dove la (vera o presunta) etica ambientale è sbandierata, nel mondo della bici che è per sua definizione verde, la eco-compatibilità è un argomento ancora poco discusso. Solo Chris King ha una chiara posizione al riguardo, gli altri, probabilmente forti del fatto che pedalare non provoca emissioni, non si curano tanto dell'argomento. Ma questo, ne sono certo, è destinato a cambiare.

2Stage Bikes (from NZ)

Nei momenti di distrazione necessaria dalle cose troppo terrene (ehm, lavoro), ho sempre pronti una pletora di siti da scandagliare alla ricerca di qualcosa di interessante. Su dirtmag online, per esempio, ho trovato la pubblicità di una azienda dal nome di 2-stage. Questi 2-stager vengono dalla Nuova Zelanda ed hanno un prodotto piuttosto speciale. La loro gamma consiste di tre telai, il cui denominatore comune è il doppio ammortizzatore. In soldoni il sistema funziona così: un primo ammortizzatore funziona su piccoli urti, lasciando del tutto indifferente il secondo, che rimane disinteressato all'azione fino a quando non viene chiamato in aiuto. Cioè? Significa che in salita o su discese pacate, il telaio ha un comportamento, come dire, cross-countristico. Utilizza solo metà dell'escursione possibile, rendendo la bici agile e reattiva (provate ad immaginare quando pompate una forcella da 20 o da 10 cm, c'è differenza direi, o no?). Cosi definiscono il loro telaio all-mountain (traduco liberamente dall'inglese) " la AM8 è in effetti due bici in una. Da una parte hai una bici che automaticamente ed intuitivamente blocca 10 cm di escursione in salita, arrivi però in cima alla collina e (voilà, aggiungo io) hai 20 cm pieni di escursione per il massimo del divertimento in discesa". La domanda è: sarà vero? La doppia sospensione è stata già usata parecchie volte in passato ma, mi sembra, non è mai diventata popolare. Corsair ha un telaio doppio- ammortizzato (il secondo ammo è un accessorio opzionale per i fine corsa) ma 2-Stage definisce tutto il suo posizionamento, cioè ciò che la rende unica, su questo sistema. Che mi risulti, non sono distribuiti in Italia. Ho cercato informazioni su mtbr.com, ho trovato solo un rimando al forum di Farkin (Australia). Ho provato a cercare ma dovevo essere loggato. Per essere loggato mi dovevo iscrivere etc etc. Morale: non so come vadano ma sembrano interessanti. Se qualcuno avesse informazioni a riguardo, i commenti sono qui sotto (e sono molto graditi).

mercoledì 8 aprile 2009

By the Hive

By the Hive è una nuova azienda da Petaluma, California. I media specializzati hanno cominciato a parlarne da poco ed io sono rimasto incuriosito per l’approccio piuttosto sofisticato al design e per alcuni prodotti fuori dal coro. Tipo i mozzi enormi che un po’ mi ricordano i White Industries degli anni novanta od una pedivella con perno poligonale o per voi English-speaking readers “polygon spindle-crank interface”. Sempre per gli inglesi: “Massive rear flanges mated to a mighty carbon tube increase torsional stiffness and fatigue life, minimize windup. Spoke stress is decreased 70% over conventional high flange hubs.In sostanza: flange molto alte, raggi molto più corti = ruote più robuste perchè lo stress sul raggio diminuisce del 70% (dicono loro). Le pedivelle hanno un’interfaccia particolare che dovrebbe permettere un unione ultra solida ma sto entrando in un territorio minato perché nei miei vent’anni circa di mountain bike mai mi sono accorto delle differenze tra una pedivella e l’altra. Per cui mi limito a questo, evito di dire altre idiozie ed aggiungo solo che per un style-conscious come me, il design di questi prodotti ha qualcosa di particolare. Potrei sbagliare (probabile) ma penso che ne sentiremo parlare.

supermotard

da urbanvelo, leggo questo.

martedì 7 aprile 2009

Spot bikes e l'arte della cinghia

Chi ha una Harley o una Buell sa che oltre alla tradizionale trasmissione a catena, ne esiste una a cinghia. Non sono un tecnico per cui non posso dire meccanicamente quali siano le differenze. Da medio-man quale sono posso però intuirne alcuni vantaggi. Il più ovvio dei quali è la manutenzione inesistente. La cinghia è silenziosa ed ha una durata elevatissima. Da una veloce ricerca su google sembra durino tre volte tanto una trasmissione tradizionale. Il problema maggiore è che la cinghia può essere usata solo con cambio interno, tipo rohloff o shimano nexus/alfine. Sia quello che sia, per chi volesse avere una bici cinghiata, a mia conoscenza, esiste una sola opzione: Spot, da Golden, Colorado. I telai sono speciali perché hanno un sistema che permette l’apertura del carro posteriore. La cinghia non ha le maglie come la catena e per tanto o la saldi dentro il telaio mentre lo fai (poco pratico, direi) o lo rendi apribile. Spot oltre a mountain single speed, fa anche una bici da cross piuttosto oltraggiosa (con la cinghia, yes). Anche altri stanno sperimentando, ma se volete essere dei very early adopter, Spot è quello che fa per voi. Se invece volete saperne di più, andate qui.

ps

ho scritto una cosa imprecisa e rettifico. Spot è tra le poche ad usare la cinghia ma non l'unica. Qui le altre. Sorry.

Olanda paese più sicuro per andare in bici

da treehugger.com leggo la notizia che l'olanda e la danimarca sono i paesi più sicuri per i ciclisti. l'articolo spiega come una ricerca olandese dimostri che, statisticamente parlando, chi si muove in bici sia meno portato alle malattie, cioè chi va al lavoro in bici si ammala meno di chi ci va in macchina (a dispetto della pioggia olandese). In una nazione cycle-friendly come questa, la palma di città ideale per chi è favorevole all'autopropulsione, va groningen, con un 40% circa di popolazione che si muove a pedali. dimenticavo: nel grafico all'interno dell'articolo l'italia sembra essere in assoluto il paese con più morti in bici (killed cyclists per 100 million km). 

domenica 5 aprile 2009

the veloist

leggo su urban velo che esiste un nuovo social network a-la-facebook ma specifico per ciclisti. si chiama veloist. il suo claim è se devo dire non molto originale - the world is better on a bike - ma potrebbe pur sempre essere un buon posto per trovare una bici gemella (americana). sempre da urban velo e sempre in tema di tecnologia, banjo brothers, piccola azienda di minneapolis produttrice di borse da bici, si è buttata nella cultura in maniera piuttosto singolare. seguendo i fratelli (banjo) via twitter, il lettore potrà seguire lo svolgersi di un piccolo romanzo, in 16 capitoli da 140 caratteri l'uno. cultura ciclistica 2.0.

things we like today

innanzitutto due parole sul titolo: l'uso dell'inglese è del tutto immotivato ma aggiunge un sapore tecno-cool a quello che sarebbe stato altrimenti un titolo poverello. perdonato? grazie. detto questo, ieri mi è arrivato l'ultimo numero di wired (quello vero, quello in inglese). siccome qui nel nord est che produce, cioè che produceva, il fine settimana è stato all'insegna del brutto tempo, ho dedicato più tempo del solito alla lettura. chris anderson, redattore capo della rivista americana, ha scritto un libro un paio di anni fa che si intitola the long tail. in sostanza: mentre prima esisteva un mercato dominato da pochi marchi che producevano tanti pezzi, adesso soprattutto grazie ad internet sta avvenendo una parcellizzazione del mercato stesso in nicchie (magari di massa, ma nicchie). questo per noi curiosi ormiani è molto interessante perchè significa una maggiore varietà di prodotto, una maggiore varietà di opinioni ed una più profonda qualità della discussione. orme stesso è prova della lunga coda. noi siamo un prodotto di nicchia che però grazie ad internet può arrivare ad un audience intercontinentale (si, insomma, si fa per dire). fatta questa non necessaria premessa, in realtà vi volevo rendere partecipi di questa breve sintesi di cose interessanti che sono passate per il mio monitor negli ultimi tempi. // dalla polonia che non penseresti culla della mountain bike arriva una piccola azienda con il nome di antidote. hanno un interessante telaio da discesa con linee piuttosto pulite ed un sistema ammortizzante che non ho ben colto. come per le canzoni in inglese, baso il mio giudizio sul mix musica/testi piuttosto che sul significato delle parole. cioè non capisco ma mi piace. idem per questo telaio. // proprio per il concetto della long tail di cui sopra, in internet si trovano tra gli anfratti digitali le nicchie più incredibili. tipo questo sito che parla dei carrelli per la bici. biketrailerblog. può sembrare una stupidata per il freerider che è in noi, ma fate un viaggio di qualche giorno con carrello e mappa ed il mondo non sarà più lo stesso (really).// l'espisodio di new world disorder, il decimo, che stanno girando in questi mesi, è filmato con la red camera. questa è una cinepresa digitale che, in sostanza, filma con qualità imax, cioè con una definizione orrendamente alta con il vantaggio di essere molto compatta e di prezzo infinitamente più basso rispetto a prodotti simili. la cosa poi interessante, socio-culturalmente parlando, è che l'inventore si chiama jim jannard, forse più famoso per aver fondato e recentemente venduto un piccolo marchio di nome oakley. red cambierà il modo di fare cinema d'azione. quando questo avverrà, ricordatevi che orme ve lo aveva detto per primo // spiedo posso dire che il 18 aprile a cremona c'è la sei ore singlespeed? silenzio assenso. più che una gara, temo sarà un baccanale di ordinaria devastazione. mi hanno inscritto ma grazie a dio o chi per esso, non possego una singlespeed per cui mi sento esonerato. // ormai è assodato, le hard tail sono tornate di moda. se non hai una rigida di fatto sei uno sfigato. sono in effetti preoccupato perchè non ho ancora ordinato nè una chromag in acciaio, nè una charge in titanio. sarà per questo che vivo ai margini della società. mah// per finire, prossimamente l'edizione numero non saprei del bike festival a torbole/riva del garda. la neve ancora abbondante limiterà un po' la scelta delle discese ma è un appuntamento di inizio stagione al quale, credo, non si possa mancare (credo, però). // grazie per essere arrivati fino a qui e ci sentiamo presto.

mercoledì 1 aprile 2009

Deliquenza di provincia e ciclismo nella critica moderna


La deliquenza è mia, il ciclismo anche. Questa è una storia di poco interesse su come la bici si sposi bene al traffico. Non tanto nel senso prevedibile di come aiuti ad evitarlo ma in quell’altro, deliquenziale significato di quanto divertente possa essere. Capisco sia politicamente scorretto. Voglio dire, gareggiare con le machine. In mezzo al casino. Infilarsi tra una e l’altra e superarle. Superare la coda, correndo a manico. Con il casco, Vans e borsa della Chrome che fa tanto san Francisco. Anche se sono a Treviso. È un tipico caso di autosuggestione. Credi di appartenere ad una categoria di persone e come tale ti comporti. Per certi versi, sono un po’ sfigato. Detto questo, l’adrenalina è innegabile. Immaginate: bici con ruote da 26, gomme da un police e mezzo, manubrio da strada e freni e disco. Cuffie sulle orecchie, colonna sonora che va da Fugazi d’annata a seventeen seconds over Tokyo dei Pere Ubu. Sono nella quintessenza della provincia, la provincia alla ennesima potenza. Cioè, sono fuori luogo. Vado e torno al lavoro. Una sorta di travet a-la-page, con bici tecno-classica e iphone. Si, insomma. Una contraddizione semovente. Ma semovente forte. Faccio 40 km al giorno. Venti la mattina, venti la sera. Buona parte è lungo strade poco frequentate. Corrono parallele alle montagne e mi guardo le Dolomiti mentre corro. La sera è stupendo. Esco. Prendo la mia Slingshot con sella Brooks e pedali flat. Un lungo pezzo tra i campi coltivati. Costeggio cave, oltrepasso ville venete e poi l’ebbrezza del centro. Più traffico, più divertimento. Dalla stazione in poi, sempre una massa compatta in movimento. Una sorta di allagamento di metallo. Con qualche buco qui e li. Dove io mi infilo. L’ultimo chilometro sembra una corsa contro il tempo. Sono in piena rush hour. Gli autobus sono strapieni, le strade anche. Corro come se non ci dovesse essere un’altra occasione. Non so se sia lo sfinimento od i passaggi millimetrici. Sta di fatto che lo stordimento provoca euforia. Scatto come se fossi al Tour de Trevisò. Ingaggio una gara con una Q7 a chi arriva primo alla curva. Vince lei ma chissenfrega. Il mio scopo era correre. All’aria. Aperta. Sono a casa. Sconvolto. Sotto. Lo. Strato. Di. Sudore. Mi chiedo: chi me lo fa fare. Mi rispondo. Non tutte le droghe fanno male.

Protone test days


Immaginate uno degli spot migliori in Italia, nessun comprensorio, nessuna seggiovia, ma soltanto la passione di un gruppo che ha trasformato un bosco in un bike park autoctono. Immaginate ora un marchio, una realtà legata al mondo della discesa e del freeride in genere, che in modo entusiastico cerca di avere un contatto diretto con il proprio cliente, così specifico da arrivare a curare l'assetto delle sospensioni in modo personalizzato.
Lo spot è il Monte Cesane a Fossombrone. Il marchio è Protone Components.
La diretta conseguenza che abbraccia le due realtà è il Protone Test Days che si è tenuto proprio alle Cesane. Il team di discesa dei "mufloni" e il gruppo dei "sorci verdi" azionano la macchina organizzativa dell'evento che ha tutto il sapore di un test prodotti internazionale che nulla ha da invidiare alle ammirate giornate simili organizzate in suolo californiano.


Riccardo, mente e braccio di Protone, ha scelto proprio l'inedito spot marchigiano per una due giorni di discesa che desse la possibilità al pubblico e ai media di toccare con mano la sua realtà. Il suo piatto forte è proprio la personalizzazione delle sospensioni. Infatti sostiene che una corretta personalizzazione delle sospensione in funzione del tipo di telaio, peso pilota, tipologia di guida del pilota stesso sono indispensabili per ottenere il massimo dalla propria bici. Oltre a questo offre un servizio di modifica con kit ad aria per alcuni modelli di forcelle e una nuova linea di componenti. Orme ha aproffitato della situazione per fare alcune domande a Protone Components e curiosare questa realtà che pur di nicchia, rivela un fermento indiscutibile.

orme) Possiamo confidenzialmente chiamarti Eolo?
protone)... questa mi mancava. Beh, l'aria non è che una delle idee che abbiamo messo in pratica!

orme) Boss e Push Industries. Realtà simili a Protone. A quando una forcella da DH con il vostro marchio?
protone) Molto, ma molto presto. Non mi cogliete impreparato su questo..

orme) La passione per la discesa, e qualche birra di troppo bevuta in garage con gli amici. Nasce così Protone?
protone) Non proprio in garage, ma sull'asfalto del parcheggio a Pian del Falco a Sestola. All'epoca ero un informatico, e nel tempo libero correvo le gare di DH. Durante le prove a Sestola ho avuto problemi con il mio ammortizzatore, e chiavi alla mano ho cercato di capire come funzionasse la cosa. Da qui le prime modifiche, poi da un piccolo tornio il prototipo n.1 con il quale poi ho corso per ben tre anni. In quello stesso periodo usci la Boxxer World Cup ad aria, e mi interessai alla cosa a tal punto da arrivare a creare kit di modifica ad aria per alcune forcelle.

orme) Protone?
protone) Prototype one, un'amorevole nostalgica dedica a quel primo ammortizzatore che ha innescato la miccia. E al tempo stesso il protone è la parte più veloce dell'atomo, e da qui il collegamento alle adrenaliniche velocità della discesa.

orme) Chi è Protone oggi? E cosa vuole fare domani?
protone) Oggi siamo una micro realtà che cerca di emergere grazie alla nostra irrefrenabile passione per la bicicletta e la discesa. Il rapporto e la consulenza diretta con il pubblico è per noi una carta vincente. Conoscere il tipo di bici, il tipo di guida e le sensazioni del nostro utente ci aiuta a fornire un servizio davvero unico e personalizzato.
Aiutare il cliente a sfruttare al massimo le possibilità tecnologiche della sua bici, tenendo conto di tutte le sue esigenze. E' un pò come essere il personal trainer per il set up sospensioni della sua bike! Domani? Avere una gamma componenti completa per allestire una bici da discesa, e magari la forcella della quale parlavamo precedentemente.

orme) miglior difetto e peggior pregio?
protone) il miglior difetto è che di fronte ad ogni problema il mio credo rispecchia un'affermazione della quale spesso abuso, ovvero "si può gestire tutto". Di fronte al mio interlocutore faccio un'ottima figura, ma poi capita che mi debba dare da fare per davvero a risolvere la cosa. Il peggior pregio è semplicemente il tempo che dedico a Protone. L'attività essendo mossa da passione non ha mai dei tempi massimi, e c'è qualcuno che qualche volta si lamenta... in famiglia, ma riesco sempre a farmi perdonare.

Per saperne di più
http://www.protone-components.it

Photogallery
Protone Test Days, Fossombrone (PU)