“Il Tour de France resta il più grande evento mediatico dopo il Mondiale di calcio e le Olimpiadi”.
Con queste parole Facchinetti ci introduce al suo libro sul Tour de France. Si tratta di un lavoro molto accurato che ci riporta indietro di cento anni ed oltre per raccontarci la nascita della corsa ciclistica a tappe più importante del mondo. Il libro può essere diviso in tre parti. Nella prima l’autore cerca di raccontare il contesto storico-culturale nel quale si inserisce l’evento Tour. Nella seconda parte invece ci viene raccotanta la storia dell’origine e delle motivazioni che spinsero Henri Desgrange ad inventarsi il Grande Ricciolo (Grand Boucle ça va sens dire). Nella terza parte ci vengono raccontate le sei mitiche tappe in modo piuttosto dettagliato.
Il libro si chiude con un’appendine nella quale si danno delle informazioni a chi si sente pronto per provare a ripetere il primo mitico giro sulle stesse strade. La pubblicazione è completata da interessanti tabelle relative a nomi e numeri, dettagliatissimi per quanto rigurda il primo Tour e italianissimi per quanto rigurda le vicende che hanno visto i nostri corridori primeggiare nelle edizioni successive (si perché nella prima di italiani non se ne sono visti anche se Garin era un giovane valdostano naturalizzato francese) fino al 2002.
Lettura molto interessante e ricca di informazioni e notizie che possono rendere felice chi è interessato ad un discorso più generale sul ciclismo e sui suoi significati socio-culturali. Per il 1903 progettare una corsa a tappe che “circumnavigasse” il pentagono transalpino significava anche mettere in campo un’azione dai forti significati sociali e culturali. Non a caso la corsa prende avvio dall’idea di un direttore di giornale, L’Auto-Velo, Desgrange che fiuterà subito l’importanza di mettere in relazione luoghi e culture francesi fra loro distanti e sconosciuti.
Fin da subito la corsa diventa un oggetto mediatico: il giornale racconterà le avventure dei corridori e le vicende umane inserite all’interno dei constesti sociali: per quel tempo la costa mediterranea della Francia, per un parigino, era una terra distante e sconosciuta come l’Africa Nera. La corsa ciclistica fin dalla sua origine diventa un veicolo di trasmissione di un’identità nazionale.
Per il lettore più interessato agli aspetti prettamente tecnici, il libro è corredato da molte foto d’epoca; si scopre così che nel 1903 tutte le biciclette in gara erano singlespeed! Bisognerà attedere il 1911 per vedere un corridore utilizzare il cambio.
E poi ci sono racconti epici. La prima tappa da Parigi a Lione di 467km viene vinta da Garin in 17h45’13’’ il secondo arriva dopo un’ora il trentasettesimo dopo 20h55’: quasi un giorno dopo.
Si parla di biciclette di 12/16kg con un solo freno. Si racconta delle ore notturne pedalate alla luce delle lanterne. Si racconta dei momenti di pausa dove i corridori si fermano a parlare, mangiare bere con il pubblico.
Da subito la corsa sarà corsa di popolo.
Si racconta di un corridore che alla terza tappa non ce la fa più. Prende il treno e si fa portare al primo punto di ristoro utile. Lì lo confortano lo rifocillano e gli docono che non deve ritirarsi che non è eroico. Lui prende la bici pedala indietro fino al punto dove aveva preso il treno e riprende la corsa.
Per la cronaca vince Garin in 94h33’14’’ alla media dei 25,6km/h, secondo Pothier a circa 3h. Partito da Parigi il 1 luglio, il valdostano, vi ritorna vincitore il 18 dopo aver percorso, in sei tappe, 2428 km vincendo 6125FF di premi.
Nell’anno successivo Garin fu sospeso per un anno per comportamenti antisportivi. Pare che si fossero eccitati parecchio gli animi e in certi momenti volavano mazzate come alle Crociate: ma questa è un’altra storia che l’autore solo ci anticipa.
Recensione e contributo di Emanuele Bruno Gandolfo.
Paolo Facchinetti
TOUR DE FRANCE 1903
Ediciclo editore
more info: ediciclo.it
Con queste parole Facchinetti ci introduce al suo libro sul Tour de France. Si tratta di un lavoro molto accurato che ci riporta indietro di cento anni ed oltre per raccontarci la nascita della corsa ciclistica a tappe più importante del mondo. Il libro può essere diviso in tre parti. Nella prima l’autore cerca di raccontare il contesto storico-culturale nel quale si inserisce l’evento Tour. Nella seconda parte invece ci viene raccotanta la storia dell’origine e delle motivazioni che spinsero Henri Desgrange ad inventarsi il Grande Ricciolo (Grand Boucle ça va sens dire). Nella terza parte ci vengono raccontate le sei mitiche tappe in modo piuttosto dettagliato.
Il libro si chiude con un’appendine nella quale si danno delle informazioni a chi si sente pronto per provare a ripetere il primo mitico giro sulle stesse strade. La pubblicazione è completata da interessanti tabelle relative a nomi e numeri, dettagliatissimi per quanto rigurda il primo Tour e italianissimi per quanto rigurda le vicende che hanno visto i nostri corridori primeggiare nelle edizioni successive (si perché nella prima di italiani non se ne sono visti anche se Garin era un giovane valdostano naturalizzato francese) fino al 2002.
Lettura molto interessante e ricca di informazioni e notizie che possono rendere felice chi è interessato ad un discorso più generale sul ciclismo e sui suoi significati socio-culturali. Per il 1903 progettare una corsa a tappe che “circumnavigasse” il pentagono transalpino significava anche mettere in campo un’azione dai forti significati sociali e culturali. Non a caso la corsa prende avvio dall’idea di un direttore di giornale, L’Auto-Velo, Desgrange che fiuterà subito l’importanza di mettere in relazione luoghi e culture francesi fra loro distanti e sconosciuti.
Fin da subito la corsa diventa un oggetto mediatico: il giornale racconterà le avventure dei corridori e le vicende umane inserite all’interno dei constesti sociali: per quel tempo la costa mediterranea della Francia, per un parigino, era una terra distante e sconosciuta come l’Africa Nera. La corsa ciclistica fin dalla sua origine diventa un veicolo di trasmissione di un’identità nazionale.
Per il lettore più interessato agli aspetti prettamente tecnici, il libro è corredato da molte foto d’epoca; si scopre così che nel 1903 tutte le biciclette in gara erano singlespeed! Bisognerà attedere il 1911 per vedere un corridore utilizzare il cambio.
E poi ci sono racconti epici. La prima tappa da Parigi a Lione di 467km viene vinta da Garin in 17h45’13’’ il secondo arriva dopo un’ora il trentasettesimo dopo 20h55’: quasi un giorno dopo.
Si parla di biciclette di 12/16kg con un solo freno. Si racconta delle ore notturne pedalate alla luce delle lanterne. Si racconta dei momenti di pausa dove i corridori si fermano a parlare, mangiare bere con il pubblico.
Da subito la corsa sarà corsa di popolo.
Si racconta di un corridore che alla terza tappa non ce la fa più. Prende il treno e si fa portare al primo punto di ristoro utile. Lì lo confortano lo rifocillano e gli docono che non deve ritirarsi che non è eroico. Lui prende la bici pedala indietro fino al punto dove aveva preso il treno e riprende la corsa.
Per la cronaca vince Garin in 94h33’14’’ alla media dei 25,6km/h, secondo Pothier a circa 3h. Partito da Parigi il 1 luglio, il valdostano, vi ritorna vincitore il 18 dopo aver percorso, in sei tappe, 2428 km vincendo 6125FF di premi.
Nell’anno successivo Garin fu sospeso per un anno per comportamenti antisportivi. Pare che si fossero eccitati parecchio gli animi e in certi momenti volavano mazzate come alle Crociate: ma questa è un’altra storia che l’autore solo ci anticipa.
Recensione e contributo di Emanuele Bruno Gandolfo.
Paolo Facchinetti
TOUR DE FRANCE 1903
Ediciclo editore
more info: ediciclo.it
Bel libro che fa anche capire quanto poco ci sia di diverso nel ciclismo dopo più di 100 anni... ivi compreso il ritenere lecito qualsiasi aiuto.. ah i tonici dei vecchi tempi, le bombe com'erano romantiche e come è da censurare il doping di oggi!
RispondiEliminasembra proprio da leggere!
RispondiElimina