Pàlmer, borraccia e via!
Storia e leggende della bicicletta e del ciclismo
Edicicloeditore, 2001
Già il sottotitolo ci prepara ad un libro che si muove su due registri lo storico e quello folklorico.
Ma nella premessa gli autori indicano il loro scopo principale: “riportare alla memoria i ricordi, gli aneddoti più curiosi, le vicende più umane: diffondere l’amore per la bicicletta e per una specialità di cui si conoscono quasi tutti i risultati, i record, i protagonisti, ma di cui non si conosce la storia e la cultura; non si conosce ciò che c’è dietro, ciò che i pionieri del ciclismo hanno inteso tramandare a noi posteri ammaliati e attratti solo da ciò che fa sensazione”.
La lunga citazione per dire che nel libro il lettore troverà una storia accurata dell’origine dell’attrezzo dallo schizzo riportato sul retro di un foglio del Codice Atlantico di Leonardo alla fine del 1400 ed erroneamente considerato il primo esempio di bicicletta, ma primo non lo fu (dato che si trattata di un falso-burla databile all’inizio del secolo scorso) ai primi velocipedi. Si racconta l’evoluzione tumultuosa nei primi due decenni del secolo scorso della bicicletta sia dal punto di vista tecnico che da quello di “impatto sociale”: le prime gare a tappe, su tutte il Tour e il Giro d’Italia, i primi velodromi, dove le “fisse” si davano battaglia.
Nel secolo XIX la bicicletta viene vista all’inizo della sua comparsa come un oggetto pericoloso e strano, secondo molti destinato, passata la moda, a scomparire. Così non fu. La bicicletta diventa un fenomeno di costume e contemporaneamente di interesse industriale.
La primogenitura della produzione industriale, ci raccontano gli autori, dei cicli in Italia è da ascrivere al modenese Vellani nel 1867. Modelli che riprendono l’esperienza francese di Michaux costruttore di carrozze poi dedicatosi alla forgiatura dei nuovi velocipedi.
Due lunghi capitoli sono impiegati per raccontare la nascita dell’Unione Velocipedistica Italiana e del Touring Club Ciclistico Italiano, organismo che si fonda con l’obiettivo di tutelare i diritti dei cicloturisti; si perché sul finire dell’800 la bicicletta era un mezzo di locomozione alternativo alle gambe. Al tempo non ne esistevano altri di facilemente accessibili a tutti!
Il libro si chiude con un lunghissimo capitolo dal titolo più che esplicativo: “Pagine curiose del Giro d’Italia”.
Potrei dirvene alcune, molte forse già le conoscete, ma trattantosi di curiosità mi guarderò bene dal privarvi del piacere di leggerle di persona.
Il libro è corredato da un motevole apparato iconografico che guida il lettore del terzo millennio ad immergersi in un mondo ormai scomparso. Tutte le foto sono ovviamente in bianco e nero sgranate e storicamente “sporche” come il volto di Fiorenzo Magni sfigurato dalla fatica, con le mani saldamente artigliate al manubrio, la bocca aperta ad ingollare litri di prezioso ossigeno, il tubolare attorcigliato sulle spalle lo sguardo appena si intuisce, quasi cancellato al nero dell’ombra prodotta dalle arcate sopraciliari: siamo nel mito.
Il libro si chiude con una preziosissima bibliografia che farà la gioia dei lettori bibliofili.
Una lettura consigliatissima a tutti i cicloamatori che sono curiosi di sapere da dove nasce la travolgente ascesa della bicicletta che ancora oggi muove per diletto o necessità milioni di persone nel mondo.
Contributo e recensione di Emanuele Bruno Gandolfo
Storia e leggende della bicicletta e del ciclismo
Edicicloeditore, 2001
Già il sottotitolo ci prepara ad un libro che si muove su due registri lo storico e quello folklorico.
Ma nella premessa gli autori indicano il loro scopo principale: “riportare alla memoria i ricordi, gli aneddoti più curiosi, le vicende più umane: diffondere l’amore per la bicicletta e per una specialità di cui si conoscono quasi tutti i risultati, i record, i protagonisti, ma di cui non si conosce la storia e la cultura; non si conosce ciò che c’è dietro, ciò che i pionieri del ciclismo hanno inteso tramandare a noi posteri ammaliati e attratti solo da ciò che fa sensazione”.
La lunga citazione per dire che nel libro il lettore troverà una storia accurata dell’origine dell’attrezzo dallo schizzo riportato sul retro di un foglio del Codice Atlantico di Leonardo alla fine del 1400 ed erroneamente considerato il primo esempio di bicicletta, ma primo non lo fu (dato che si trattata di un falso-burla databile all’inizio del secolo scorso) ai primi velocipedi. Si racconta l’evoluzione tumultuosa nei primi due decenni del secolo scorso della bicicletta sia dal punto di vista tecnico che da quello di “impatto sociale”: le prime gare a tappe, su tutte il Tour e il Giro d’Italia, i primi velodromi, dove le “fisse” si davano battaglia.
Nel secolo XIX la bicicletta viene vista all’inizo della sua comparsa come un oggetto pericoloso e strano, secondo molti destinato, passata la moda, a scomparire. Così non fu. La bicicletta diventa un fenomeno di costume e contemporaneamente di interesse industriale.
La primogenitura della produzione industriale, ci raccontano gli autori, dei cicli in Italia è da ascrivere al modenese Vellani nel 1867. Modelli che riprendono l’esperienza francese di Michaux costruttore di carrozze poi dedicatosi alla forgiatura dei nuovi velocipedi.
Due lunghi capitoli sono impiegati per raccontare la nascita dell’Unione Velocipedistica Italiana e del Touring Club Ciclistico Italiano, organismo che si fonda con l’obiettivo di tutelare i diritti dei cicloturisti; si perché sul finire dell’800 la bicicletta era un mezzo di locomozione alternativo alle gambe. Al tempo non ne esistevano altri di facilemente accessibili a tutti!
Il libro si chiude con un lunghissimo capitolo dal titolo più che esplicativo: “Pagine curiose del Giro d’Italia”.
Potrei dirvene alcune, molte forse già le conoscete, ma trattantosi di curiosità mi guarderò bene dal privarvi del piacere di leggerle di persona.
Il libro è corredato da un motevole apparato iconografico che guida il lettore del terzo millennio ad immergersi in un mondo ormai scomparso. Tutte le foto sono ovviamente in bianco e nero sgranate e storicamente “sporche” come il volto di Fiorenzo Magni sfigurato dalla fatica, con le mani saldamente artigliate al manubrio, la bocca aperta ad ingollare litri di prezioso ossigeno, il tubolare attorcigliato sulle spalle lo sguardo appena si intuisce, quasi cancellato al nero dell’ombra prodotta dalle arcate sopraciliari: siamo nel mito.
Il libro si chiude con una preziosissima bibliografia che farà la gioia dei lettori bibliofili.
Una lettura consigliatissima a tutti i cicloamatori che sono curiosi di sapere da dove nasce la travolgente ascesa della bicicletta che ancora oggi muove per diletto o necessità milioni di persone nel mondo.
Contributo e recensione di Emanuele Bruno Gandolfo
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