Sono un po' stracco ed invece di uscire in bici o fare le ultime gite sciistiche primaverili, mi ritrovo disteso in divano a leggere "The Shallows" di Nicholas Carr. Il sottotitolo dice: cosa Internet sta facendo alla nostra mente" e il sotto-sottotitolo si domanda se Google ci stia rincretinendo. E' un affascinante viaggio dentro le scienze cognitive, un excursus temporale dall'inizio della scrittura (i Sumeri e gli Egiziani) agli hyperlink dell'era digitale. Carr scriva in maniera tecnica ma allo stesso limpida e molto americana, cioè stringata e chiara anche a chi non è del settore (io, per esempio). L'autore racconta il passaggio dalla lettura lineare, cioè libri, a quella definita da uno scienzato ad "F". F vuole descrivere come gli occhi del lettore si muovano seguendo a grandi linee la forma di una F, scansionano cioè la pagina a velocità supersonica passando da una zona all'altra cercando di cogliere il succo del testo senza fermarsi nei dettagli. F sta anche per "fast". Il dubbio è: troppi stimoli ci rendono superficiali e distratti? La risposta è: non ho finito il libro. Mi manca poco però ed in linea di massima posso dire che non stiamo diventando deficienti a causa di internet. Gli hyperlink costringono, se ho capito bene, i neuroni ad un'attività diversa da quella tradizionale, forzando il cervello verso una rimappatura continua. Questa malleabilità cerebrale è chiamata "neuroplasticità" e di fatto permette al cervello di adattarsi alle situazioni. Le cellule celebrali infatti si comportano secondo gli impulsi che ricevono e più ne ricevono, più si adeguano, seguendo quello che uno scienziato, parafrasando il "survival of the fittest" di Darwin, ha definito "the survival of the busiest" (più un neurone è bombardato da uno stimolo, più si adatta). Tutto questo per dire? Che in questi giorni forse farei meglio ad andare a pulire i sentieri dai detriti dell'inverno. Ma c'è un tempo per la bici ed un tempo per la lettura ed in questi giorni prevale il secondo. Foraggiato da una tavoletta di Ritter, mentre ero immerso nella lettura, il mio cervello si poneva la domanda: se vado tanto in bici, gli stimoli che ricevo mi rimodellano il cervello e da stordito che sono, posso forse aspirare alla sanità mentale? Ho qualche dubbio ma visto che da che da qui non mi muovo e visto che sto leggendo se Goggle ci rende stupidi, tanto vale che provi in prima persona. Vado nel motore di ricerca e digito: "is cycling making us smarter?". L'inglese non è per fare lo sborone ma perchè sappiamo che quella lingua è l'esperanto della scienza, la lingua unica della ricerca. I risultati non sono moltissimi ma visto che di hyperlink si parla, hyperlink sia. Ne seguo diversi, due in modo particolare sono interessanti. Uno ha proprio come titolo quello che ho digitato su Google, l'altro è un link contenuto dentro questo post e rimanda ad un articolo del Wall Street Journal. Per farla breve e perchè ho l'improvvisa epifania che sto scrivendo in un blog di bici, cerco di sintetizzare. Scopro che tutte le ricerche portate avanti in questi ultimi anni, concordano che una moderata attività sportiva, come l'andare in bici, ha un effetto positivo sul nostro cervello. Una maratona, no, ma dei chilometri in bici, si. In generale tutta l'attività fisica aiuta il cervello a funzionare meglio, rallentandone il decadimento e rendendolo più duttile ed attento. Uno studio del 2004 pubblicato nei "Proceedings of the National Academy of Sciences" mostra che dell'attività aereobica produce un drammatico miglioramento della memoria a breve termine (traduco dall'inglese "short term memory) che è quella parte del nostro cervello che funziona come la ram del computer. Tutto questo è una grande figata e non posso che meravigliarmi del potere dell'esercizio fisico e del potere della scienza.
Ho poi un momento di smarrimento e penso a cosa dicevano i Romani.
"Mens sana in corpore sano".
Domani faccio il primo giro della stagione.
Ciao.
Marcello.
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