mercoledì 9 dicembre 2009

La comunanza: uomini e biciclette

Pomeriggio d’autunno, il cielo plumbeo, sembra quasi di poterlo toccare con un dito. Le nuvole basse e scure si muovono rapide. I colori si fanno tetri, quasi scompaiono. La pioggia cade insistente, poi quasi per magia si quieta, per poi riprendere insistente. I pensieri sembrano liquefarsi, provo a seguire il ticchettio, cerco di fermarli: vanno troppo veloci e poi si dileguano appena cerco di afferrarli. Scompaiono, lascio che corrano che si infiltrino.
Ne inseguo uno che da giorni mi vortica nella testa.
Un pensiero acquoso, dal sapore di fango e castagne, di mora forse, di vino assaporato in famiglia, quando fuori la terra si appresta a riposare.
Lo lascio colare, il pensiero, lo fermo, ma so che sarà solo per un attimo, però potrebbe bastare per riuscire a dargli una forma dicibile. Ci provo.
La relazione fra uomo e bicicletta, ecco, questo potrebbe essere il pensiero. Lo maneggio, sfugge come acqua sulla cera, si dilegua mercuriale, lo raccolgo nel palmo della mano e lo scruto. La bicicletta dice un internauta che “la sa lunga” sta dove la metti: la lasci lì e poi dopo quando decidi di riappropriartene lei ti aspetta immota, non aspetta altro che condurre ed essere condotta dal suo fido ciclopedalatore.
Posso parlare solo di ciò che conosco o penso di conoscere.
Sono stato coivolto, direi quasi rapito, alla bicicletta, da un gruppo di adulti bambini. Persone appassionate che dedicano molte delle loro energie e del loro tempo a “giocare” con la bicicletta.
La bicicletta, l’oggetto intendo, l’insieme di pezzi più o meno pregiati, diventa uno strumento attaverso il quale si possono costruite, attivare e nutrire relazioni umane adulte.
Sono certo che si tratti di gioco e come tutti i giochi servono delle regole per farlo funzionare, per far sì che chi gioca si diverta. Senza regole non ci può essere nessuna forma di comunità animale.
Ho scoperto che ci sono molte persone, almeno io ne ho conosciute un certo numero, che vivono la bicicletta come un mezzo di comunanza. Molte delle azioni di queste persone, si servono della bicicletta per costruire strade, sentieri, vie di comunicazione. La bicicletta, come ci spinge a pensare Tarantola, diventa una protesi, ma oserei andare oltre. La bicicletta, per certe persone, diventa un oggetto comunicante. Vi ho già detto di un signore, pediatra, psiconalista del secolo scorso, che ci invitava a riflettere sulla relazione madre-bambino, bene osservando i bambini, questo acuto pensatore, ci ha anche invitato a guardare con occhi accorti certi oggetti che tutti i bambini adottano nel corso della loro vita. Oggetti che lui chiamava transizionali, (forse l’oggetto transizionale più noto è la copertina di Linus) che hanno una loro intrinseca realtà fisica, la copertina, ma che sono intrisi di emozioni che li rendono oggetti confine: fra lo psichico e il reale.
Bene con le dovute cautele, la bicicletta, quando si fa comunanza diventa un oggetto transizionale. Atomi e molecole vengono travolti dalle umane passioni e si trasformano, perdono la loro concretezza per diventare strumenti di piacere.
Ho scoperto che le biciclette possono essere montate, smontate, rimontate e ancora smotate: un lavoro incessante che può portare alla pazzia. Un lavoro che permette ad un gruppo di persone di mescolare le proprie conoscenze, i propri possessi fino a farli quasi scomparire.
Parti di biciclette ormai esauste (ma può esistere una bicicletta esausta?) riacquistano nuova vita.
Questo lavoro di de-costruzione e ri-costruzione della nuova bicicletta si realizza attraverso la comunanza.
Siamo circondati da migliaia di oggetti che assediano la nostra quotidianità, oggetti spesso inutili, a volte ridondanti, ma sempre “fondamentali” per contenere un primitivo senso di sé. Basti pensare a tutti gli ordini monastici (occidentali ed orientali) che propongono vie di realizzazione del Sé ultraterrene: tutti o quasi, passano per l’abbandono del possesso, per una spogliazione della persona dai suoi possedimenti (pensate al San Francesco ritratto dalla Cavani).
Questa via non è per tutti e forse non è neanche, dal mio punto di vista, praticabile.
Ci possono essere forme micro di comunanza dove il possesso passa per una condivisione di gruppo.
Osservare certe biciclette e scoprire che sono costituite da pezzi, “donati”, ma forse sarebbe più corretto dire condivisi, da molte persone, mi ha aperto nella mente piccoli spiragli di speranza e piacere: l’uomo di Hobbes è vinto si deve inchinare al piacevole bisogno della comunanza.
Sono piccole increspature del quotidiano che mettono di buon umore.
La composizione della bicicletta non è uno sterile esercizio di stile, ma un modo per ridare vita a oggetti, un modo per “mettere a disposizione” della comunità oggetti di piacere, un modo per tentate di aggregare oggetti che per storia e tradizione non potrebbero aggregarsi e in questo senso mi pare che certe azioni de-costruttive si possano avvicinare, con le dovute cautele, al processo di produzione di un’opera d’arte. Agli storici le ardue sentenze.
Mi sembra che per la comunità pedalante a cui mi riferisco sia più importante partecipare di un possesso che non godere della sua dote.
Non è comune almeno non lo è per la mia esperienza, questo modo di agire.
Non penso che la comunanza sia frutto di un esercizio di stile, penso che mostri un modo di intendere la vita (forse voglio spingere troppo in là il ragionamento, ma mi è utile per capire e per comunicare), forse la piccola comunità ciclopedalante sente che la comunanza ha un valore in sé e che questo valore in sé dona più gusto alle cose che si fanno.
Non penso che questo significhi un azzeramento della proprietà, ne la sua riduzione in schiavitù in virtù di una forzata ed ideologica collettivizzazione dei mezzi di trasporto ciclopedalatori. Penso che sia possibile far convivere all’interno di una scena di possesso anche una posizione di comunanza: è un equilibrio delicato ma vale la pena provare a farlo esistere.
Da questo delicato equilibrio poi discendo molte piacevoli conseguenze. Ad esempio accade che quando una persona decide di impossessarsi di una bicicletta, nel gruppo a cui mi riferisco questo accade molto raramente, in genere ci si impossessa di un telaio, all’interno della comunità si attiva una strana forma di energia tumultuosa. E’ un momento magico perché il telaio e il suo felice possessore iniziano ad essere il terreno di vulcaniche proiezioni di gruppo. Si uso la parola proiezione come la usano certi loschi figuri che ormai siamo abituati a chiamare psicologi. Il cinema e la letteratura e pure il fumetto (Moore docet) ci hanno introdotti alle segrete alchimie dei test proiettivi (Rorschach in primis); ebbene, anche in questo gruppo alieno, accade un fenomeno analogo. Telaio nuovo, via, ha inizio un comune e collettivo test proiettivo per tutti. In questa fase in genere vengono esplorati tutti gli universi ciclopedalatori conosciuti e non. Tutti si attivano con pensieri parole opere ed omissioni: fioccano idee, fantasie, desideri nascosti da anni, prendono momentaneamente forme pubbliche. Ogni persona ci mette un pezzo e non si tratta di un’immagine figurata. Il gruppo di cui parlo ha una solidissima origine padana: del porco non si butta via niente, figuriamoci della bicicletta.
Via c’è sempre un oggetto che può servire a dare forma ad un sogno!
Questa fase poi lascia il campo al principio di realtà, e dopo lunghe ed animate discussioni si arriva a “comporre” la nuova creatura. Creatura che forse fra qualche anno servirà per dare vita ad altre creature che a loro volta doneranno nuove vite ad altre creature in un processo incessante e magnifico nella sua semplicità.
Questo per me è un esempio di comunanza, ha molti vantaggi in confronto al sistema predatorio individualistico: produce un livello di eccitazione molto più alto. L’intersezione di pensieri, parole, opere ed omissioni, aumenta i livelli di endorfine con benefici effetti di euforica piacevolezza; la messa in comune di conoscenze e possessi aumenta la possibilità di mettere a punto oggetti ciclopedalatori di sublime fattezze. Oserei dire che questo precesso di controllata e condivisa collusione (e torna il latino cum-ludere, giocare insieme) permette di mettere meglio a fuoco le proprie idee, selezionarle e forse, a volte, pure scartare le più improbabili; l’unione fa la forza: più idee circolano e più si cementa il senso di fare gruppo di partecipare ad un gioco comune. Ci si muove all’interno di relazioni e questo, per noi animali primariamente relazionali, è piacevole; si stempera il sentimento dell’invidia che tanto avvelena il piacere del vivere. La bicicletta dell’altro diventa anche la tua: ci metti idee, pensieri, nuove soluzioni, a volte addirittura pezzi che andranno concretamente a costituire il nuovo mezzo; e poi il piacere di costruire un “progetto” comune: una bici è un’apertura di credito verso nuove avventure.
Se l’uomo, come credo che sia, è un animale primariamente relazionale, profondamente relazionale, biologicamente relazionale, allora è anche un animale fondamentalmente bisognoso di narrazioni.
Le biciclette in certi gruppi di umani hanno questo potere mitopoietico: aiutano uomini e donne a narrare storie, disegnare scenari futuri, aiutano a creare una piccola storia condivisa.

Contributo di Emanuele "Ema" Gandolfo



6 commenti:

  1. Bellissimo...parole,immagini... grande!

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  2. dico, che la bicicletta avesse un potere mitopoietico prorpio non me lo potevo immaginare.
    Ema mi hai aperto il cervello, la prossima volta che mi sentirò scoppiare i quadricipiti ci penserò, magari questa mitopoietica mi fa passare i dolori.
    meraviglioso

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  3. EMA, attento alla deriva, splendido
    FOTO, non so se avete mai visto le foto di alcuni negozi francesi di vino dove bottiglie pregiatissime di borgogna o bordolesi sono esposte a casaccio (la bottiglia nella sua forma è l'apoteosi del rigore, è stata fatta per essere stoccata, questo per dire che i pezzi pregiatissimi del Liutaio buttati mi fanno la stessa impressione

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  4. io voglio condividere alcune "cosucce" con il Liutaio.....posso?

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  5. Se entro nella soffitta del Liutaio con in testa le parole di Ema deve essere un bel viaggio...

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  6. Bello.
    Per questo amiamo le biciclette, e anche Ema.

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