mercoledì 30 dicembre 2009

A-Team alley Cat + IRIDE Fixed Opening

E' tutta questione di calzetti colorati! Potrebbe essere un giorno gelido, potremmo essere nel deserto più bollente, potrebbe piovere come stare sotto alle cascate del Niagara, potrebbe esserci un tornado. Strappate loro via i vestiti o sotterrateli di piumoni, ma NON toccate i loro calzetti colorati!
Ci sembrava di essere stati proiettati dritti in mezzo al carnevale di Notting Hill.
Questo è ciò che né uscito dal nostro primo contatto con il mondo delle fisse e delle alley cats. Oltre all’umore piuttosto psichedelico, le tenute di ogni partecipante, così alla moda, ordinate e dai coloroti perfettamente coordinati (!!!), il rischio, dopo ogni check point, di incorporarsi al paraurti di macchine in corsa tuffandosi nel traffico di un convulso sabato pomeriggio, rigorosamente senza mai guadarsi indietro.
I 25 km percorsi in 53 minuti, l’orgoglio di tagliare il traguardo dopo l’ultimo check point killer in un pub del centro, il party post-gara per presentare lo spazio Iride, i mini-match di bike polo su bici a manubrio mozzato mentre l’unplugged dei Joyride scorreva veloce sopra le nostre teste.
Photogallery (images courtesy of behindmagazine.com)
More info: iridefixed.it
contributo di behindmagazine.com

lunedì 28 dicembre 2009

La Suprema Handcrafted Bicycles

Una fantasiosa ispirazione al passato che sfocia in un'inedita rilettura della bicicletta. Ad un curioso recupero di forme e particolari si unisce una vivace voglia di sperimentazione. Questo è il carattere che accomuna le biciclette La Suprema.
Nascono creazioni come Looptail 29er, 1910 29er, 1899 Board Track (foto in questo ordine).


La Suprema Handcrafted Bicycles, un marchio di Tucson, Arizona, che ci ha incuriosito e che vi vogliamo mostrare. Buona visione.
(images courtesy of edsbikes.us)

domenica 27 dicembre 2009

Niner W.F.O. 9

5.5 pollici, 140 mm. Niner W.F.O. 9. Ovvero come una full 29er approda alle lunghe escursioni. Le abbiamo pedalato a fianco per un'intera giornata e ormai la curiosità è tanta...
Niner in Italia è distribuito da Race Ware.
(foto alta risoluzione)

lunedì 21 dicembre 2009

Lynskey Pro Cross 2010



Toglierle gli occhi di dosso non è così semplice. (foto)
Il tubo obbliquo è musicalmente "attorciliato" ai vostri desideri. Unico, elicoidale e fantasioso. "Ovalized and flattened for easier shouldering". Un video che tecnicamente può chiarire più di qualsiasi altra nostra parola.
Lynskey Pro Cross 2010.
Lynskey in Italia è distribuita da Velo Bike Store.
Un particolare ringraziamento a Gianni di Pro-M che ci ha regalato la visione di questa splendida ciclocross.

venerdì 18 dicembre 2009

SSCXIS#4

Singlespeed Ciclocross Italian Series, tappa #4, Maranello (Modena)
tutte le info qui

lunedì 14 dicembre 2009

Bertelli Bici

I LIKE. (and all my bikes have and will have.)
E, a fianco..
I DO NOT LIKE. (and it is unlikely you will see on my builds.)
Su questa pagina, come in un vero manifesto di intenzioni, Bertelli Bici proclama le proprie lezioni di stile, nonché la sua visione personale che concretizza nelle bici che portano la sua firma. Pezzi nuovi, new old stock, parti vintage e tanto gusto nell'allestire bici che nel loro essere uniche, sono a metà strada tra un design sobrio ed una raffinata ispirazione vintage. Ma forse è meglio che un giudizio lo diate voi, lettori attenti e buongustai....
Bertelli Bici. Biciclette Assemblate. New York City.
(images courtesy of bertellibici.com)

domenica 13 dicembre 2009

Independent Fab Steel deluxe

29er singlespeed fuori dal comune. Steel Deluxe di Independent Fabrication può rappresentare per l'appassionato il punto di arrivo per la mountain bike hardtail. La linea del telaio è mozzafiato, il colore Team Independent Fabrication unico. Il tutto per in un montaggio che lascia ancora poco spazio ai desideri. Che altro dire?
Foto alta definizione.

venerdì 11 dicembre 2009

Coffee



(images cortesy of Freeman Transport)
Caffè, briosches, telai e ruote. Il sogno di tutti i ciclocentrici durante le gionate fredde e uggiose.
Dal blog di Freeman Transport.
Quando anche in Italia?

mercoledì 9 dicembre 2009

La comunanza: uomini e biciclette

Pomeriggio d’autunno, il cielo plumbeo, sembra quasi di poterlo toccare con un dito. Le nuvole basse e scure si muovono rapide. I colori si fanno tetri, quasi scompaiono. La pioggia cade insistente, poi quasi per magia si quieta, per poi riprendere insistente. I pensieri sembrano liquefarsi, provo a seguire il ticchettio, cerco di fermarli: vanno troppo veloci e poi si dileguano appena cerco di afferrarli. Scompaiono, lascio che corrano che si infiltrino.
Ne inseguo uno che da giorni mi vortica nella testa.
Un pensiero acquoso, dal sapore di fango e castagne, di mora forse, di vino assaporato in famiglia, quando fuori la terra si appresta a riposare.
Lo lascio colare, il pensiero, lo fermo, ma so che sarà solo per un attimo, però potrebbe bastare per riuscire a dargli una forma dicibile. Ci provo.
La relazione fra uomo e bicicletta, ecco, questo potrebbe essere il pensiero. Lo maneggio, sfugge come acqua sulla cera, si dilegua mercuriale, lo raccolgo nel palmo della mano e lo scruto. La bicicletta dice un internauta che “la sa lunga” sta dove la metti: la lasci lì e poi dopo quando decidi di riappropriartene lei ti aspetta immota, non aspetta altro che condurre ed essere condotta dal suo fido ciclopedalatore.
Posso parlare solo di ciò che conosco o penso di conoscere.
Sono stato coivolto, direi quasi rapito, alla bicicletta, da un gruppo di adulti bambini. Persone appassionate che dedicano molte delle loro energie e del loro tempo a “giocare” con la bicicletta.
La bicicletta, l’oggetto intendo, l’insieme di pezzi più o meno pregiati, diventa uno strumento attaverso il quale si possono costruite, attivare e nutrire relazioni umane adulte.
Sono certo che si tratti di gioco e come tutti i giochi servono delle regole per farlo funzionare, per far sì che chi gioca si diverta. Senza regole non ci può essere nessuna forma di comunità animale.
Ho scoperto che ci sono molte persone, almeno io ne ho conosciute un certo numero, che vivono la bicicletta come un mezzo di comunanza. Molte delle azioni di queste persone, si servono della bicicletta per costruire strade, sentieri, vie di comunicazione. La bicicletta, come ci spinge a pensare Tarantola, diventa una protesi, ma oserei andare oltre. La bicicletta, per certe persone, diventa un oggetto comunicante. Vi ho già detto di un signore, pediatra, psiconalista del secolo scorso, che ci invitava a riflettere sulla relazione madre-bambino, bene osservando i bambini, questo acuto pensatore, ci ha anche invitato a guardare con occhi accorti certi oggetti che tutti i bambini adottano nel corso della loro vita. Oggetti che lui chiamava transizionali, (forse l’oggetto transizionale più noto è la copertina di Linus) che hanno una loro intrinseca realtà fisica, la copertina, ma che sono intrisi di emozioni che li rendono oggetti confine: fra lo psichico e il reale.
Bene con le dovute cautele, la bicicletta, quando si fa comunanza diventa un oggetto transizionale. Atomi e molecole vengono travolti dalle umane passioni e si trasformano, perdono la loro concretezza per diventare strumenti di piacere.
Ho scoperto che le biciclette possono essere montate, smontate, rimontate e ancora smotate: un lavoro incessante che può portare alla pazzia. Un lavoro che permette ad un gruppo di persone di mescolare le proprie conoscenze, i propri possessi fino a farli quasi scomparire.
Parti di biciclette ormai esauste (ma può esistere una bicicletta esausta?) riacquistano nuova vita.
Questo lavoro di de-costruzione e ri-costruzione della nuova bicicletta si realizza attraverso la comunanza.
Siamo circondati da migliaia di oggetti che assediano la nostra quotidianità, oggetti spesso inutili, a volte ridondanti, ma sempre “fondamentali” per contenere un primitivo senso di sé. Basti pensare a tutti gli ordini monastici (occidentali ed orientali) che propongono vie di realizzazione del Sé ultraterrene: tutti o quasi, passano per l’abbandono del possesso, per una spogliazione della persona dai suoi possedimenti (pensate al San Francesco ritratto dalla Cavani).
Questa via non è per tutti e forse non è neanche, dal mio punto di vista, praticabile.
Ci possono essere forme micro di comunanza dove il possesso passa per una condivisione di gruppo.
Osservare certe biciclette e scoprire che sono costituite da pezzi, “donati”, ma forse sarebbe più corretto dire condivisi, da molte persone, mi ha aperto nella mente piccoli spiragli di speranza e piacere: l’uomo di Hobbes è vinto si deve inchinare al piacevole bisogno della comunanza.
Sono piccole increspature del quotidiano che mettono di buon umore.
La composizione della bicicletta non è uno sterile esercizio di stile, ma un modo per ridare vita a oggetti, un modo per “mettere a disposizione” della comunità oggetti di piacere, un modo per tentate di aggregare oggetti che per storia e tradizione non potrebbero aggregarsi e in questo senso mi pare che certe azioni de-costruttive si possano avvicinare, con le dovute cautele, al processo di produzione di un’opera d’arte. Agli storici le ardue sentenze.
Mi sembra che per la comunità pedalante a cui mi riferisco sia più importante partecipare di un possesso che non godere della sua dote.
Non è comune almeno non lo è per la mia esperienza, questo modo di agire.
Non penso che la comunanza sia frutto di un esercizio di stile, penso che mostri un modo di intendere la vita (forse voglio spingere troppo in là il ragionamento, ma mi è utile per capire e per comunicare), forse la piccola comunità ciclopedalante sente che la comunanza ha un valore in sé e che questo valore in sé dona più gusto alle cose che si fanno.
Non penso che questo significhi un azzeramento della proprietà, ne la sua riduzione in schiavitù in virtù di una forzata ed ideologica collettivizzazione dei mezzi di trasporto ciclopedalatori. Penso che sia possibile far convivere all’interno di una scena di possesso anche una posizione di comunanza: è un equilibrio delicato ma vale la pena provare a farlo esistere.
Da questo delicato equilibrio poi discendo molte piacevoli conseguenze. Ad esempio accade che quando una persona decide di impossessarsi di una bicicletta, nel gruppo a cui mi riferisco questo accade molto raramente, in genere ci si impossessa di un telaio, all’interno della comunità si attiva una strana forma di energia tumultuosa. E’ un momento magico perché il telaio e il suo felice possessore iniziano ad essere il terreno di vulcaniche proiezioni di gruppo. Si uso la parola proiezione come la usano certi loschi figuri che ormai siamo abituati a chiamare psicologi. Il cinema e la letteratura e pure il fumetto (Moore docet) ci hanno introdotti alle segrete alchimie dei test proiettivi (Rorschach in primis); ebbene, anche in questo gruppo alieno, accade un fenomeno analogo. Telaio nuovo, via, ha inizio un comune e collettivo test proiettivo per tutti. In questa fase in genere vengono esplorati tutti gli universi ciclopedalatori conosciuti e non. Tutti si attivano con pensieri parole opere ed omissioni: fioccano idee, fantasie, desideri nascosti da anni, prendono momentaneamente forme pubbliche. Ogni persona ci mette un pezzo e non si tratta di un’immagine figurata. Il gruppo di cui parlo ha una solidissima origine padana: del porco non si butta via niente, figuriamoci della bicicletta.
Via c’è sempre un oggetto che può servire a dare forma ad un sogno!
Questa fase poi lascia il campo al principio di realtà, e dopo lunghe ed animate discussioni si arriva a “comporre” la nuova creatura. Creatura che forse fra qualche anno servirà per dare vita ad altre creature che a loro volta doneranno nuove vite ad altre creature in un processo incessante e magnifico nella sua semplicità.
Questo per me è un esempio di comunanza, ha molti vantaggi in confronto al sistema predatorio individualistico: produce un livello di eccitazione molto più alto. L’intersezione di pensieri, parole, opere ed omissioni, aumenta i livelli di endorfine con benefici effetti di euforica piacevolezza; la messa in comune di conoscenze e possessi aumenta la possibilità di mettere a punto oggetti ciclopedalatori di sublime fattezze. Oserei dire che questo precesso di controllata e condivisa collusione (e torna il latino cum-ludere, giocare insieme) permette di mettere meglio a fuoco le proprie idee, selezionarle e forse, a volte, pure scartare le più improbabili; l’unione fa la forza: più idee circolano e più si cementa il senso di fare gruppo di partecipare ad un gioco comune. Ci si muove all’interno di relazioni e questo, per noi animali primariamente relazionali, è piacevole; si stempera il sentimento dell’invidia che tanto avvelena il piacere del vivere. La bicicletta dell’altro diventa anche la tua: ci metti idee, pensieri, nuove soluzioni, a volte addirittura pezzi che andranno concretamente a costituire il nuovo mezzo; e poi il piacere di costruire un “progetto” comune: una bici è un’apertura di credito verso nuove avventure.
Se l’uomo, come credo che sia, è un animale primariamente relazionale, profondamente relazionale, biologicamente relazionale, allora è anche un animale fondamentalmente bisognoso di narrazioni.
Le biciclette in certi gruppi di umani hanno questo potere mitopoietico: aiutano uomini e donne a narrare storie, disegnare scenari futuri, aiutano a creare una piccola storia condivisa.

Contributo di Emanuele "Ema" Gandolfo



martedì 8 dicembre 2009

Bacheca

Nel nostro essere curiosi ciclocentrici capita che, agli occhi degli altri, orme rappresenti ciò che di diverso e non di mainstreming possa offrire l'oggetto bicicletta. Capita anche che tale comportamento possa essere identificato con un ruolo da veri trend setter del settore. Non sta a noi smentire o confermare questo. Comunque nel nostro essere discontinui ma passionali succede anche che qualcuno prenda sul serio quello che facciamo, e che all'indirizzo di posta di orme giungano molte segnalazioni. Quasi come se le persone individuassero in noi i portavoce più adatti. Quando è possibile è sempre stato nostro desiderio fin dall'inizio toccare direttamente con mano ciò che del mondo della bicicletta ci interessava, che sia esso prodotto o personaggio. Ma la nostra curiosità è senza ombra di dubbio più veloce delle nostre azioni. Ed è per questo, che quando comunque intuiamo originalità, passione e qualità in un progetto, ci piace segnalarvi la cosa. Come per esempio facciamo oggi.

(images courtesy of orcocicli.com)
La prima riguarda Orco Cicli, del quale abbiamo già parlato qui .
La novità sta nella loro nuova creazione. Si chiama Amadeo, ed è una riedizione di un classico ormai scomparso. Una bacchetta leggera che nel telaio si ispira ad un modello del 1934 riletto però in chiave moderna attraverso moderne tubazioni Columbus Brain. Cambio posteriore a 3 velocità nel mozzo, finiture ineccepibili, basta notare il carter e la pedivella. Come gli altri modelli Orco Cicli, viene prodotta solo su misura e su ordinazione.
Sempre che siate sicuri di meritarla.


(images courtesy of cignolabicicletta.it)
Altra segnalazione. Il marchio Cigno ripropone la celebrazione di un classico italiano che ha scritto alcune pagine delle storia della bicicletta. Era il 1964 quando nacque la Graziella. Con essa la bicicletta abbandonò la realtà di mezzo di trasporto povero ed essenziale, e divenne un oggetto che abbracciava la moda ed uno stile di vita spensierato e fantasioso. Fù definita da uno slogan pubblicitario dell'epoca come la Rolls Royce di Brigitte Bardot.
Oggi Cigno presenta Seventy, bici pieghevole liberamente ispirata a quella che fu una “piccola” rivoluzionaria, il mezzo di trasporto preferito dagli spiriti liberi negli anni del boom economico italiano.
Il video imperdibile che mostra Seventy di Cigno.

giovedì 3 dicembre 2009

Uomo e bicicletta #2

L’ultimo post di Tarantola ci invita a riflettere e allora proviamoci.
Ma su cosa: sul processo di costruzione del mito ciclistico? Servirebbero branchi di storici, torme di sociologi per rispondere. A me interessa provare a partire dalla scoperta inquietante che la bicicletta lasciata sola non si regge. Cade, si appoggia al suolo e giacce, immota. E’ il destino di tutti i gravi direbbe Newton. Nessuna nuova scoperta. La bicicletta esiste all’interno di una relazione umana. Winnicott, che era un pediatra e pure uno psicoanalista, diceva che non si può comprendere un bimbo senza includere nell’osservazione la relazione con la sua mamma. Forse Tarantola, prossimo a diventare bi-padre ci spinge a riflettere sulla relazione fra bicicletta, oggetto, grave che in solitudine tende a cadere, e il suo pedalatore/trice.
Il post ci invita a fare un esercizio critico: analizzare con mente fredda e razionale la bicicletta per riconoscere che il mezzo, spesso oggetto di culto, non è altro che un insieme di materia inerte.
Verissimo, ma insufficiente. Insufficiente perché gli umani sono tali anche perché tendono a costruire nella loro mente delle relazioni (che poi hanno anche delle conseguenze nella realtà ovviamente) ad alto valore emozionale.
Si entra in un campo di non facile esplorazione. Le dimensioni emozionali che investono una bicicletta sono molteplici.
Tendo a pensare che la costruzione di leggende sportive intorno alle imprese epiche di atleti fuoriclasse solo marginalmente sia da attriburie ai loro mezzi. Solo un pubblico molto selezionato include nella leggenda anche il marchio, ma questo non significa che il marchio in questione non abbia contribuito a costruire la leggenda.
La bicicletta è un oggetto che entra nella vita delle persone in una fase molto precoce: entro i 5 anni di vita la maggior parte dei bambini e delle bambine sanno andare in bicicletta, almeno nella realtà nella quale mi muovo io questo mi pare di vedere. L’oggetto poi seguirà per lunghi anni la vita delle persone e per alcune diventerà anche uno strumento sportivo, per la maggior parte solo un mezzo di locomozione o di svago non agonistico.
Il legame con l’oggetto si instaura in tenerissima età e da subito si configura come uno strumento di esplorazione, di gioco, di libertà, di misura con il rischio. Non tutto e non subito, ma gradualmente l’oggetto inanimanto diventa un elemento centrale e spesso unico di alcune esperienze. Secondo me tale particolarità è così specifica che si tende a percepire la bicicletta come un oggetto quasi domestico: qualsiasi persona sa come si usa una bicicletta ed è in grado di utilizzarla. La semplicità di costruzione e di utilizzo rende i “quattro tubi” un esempio notevole delle capacità creative dell’uomo.
Si tratta di un’invenzione che raggiunta la canonizzazione, nella sua sostanza più semplice, un telaio, due ruote, un movimento di trasmissione, si riproduce ormani da poco più di un secolo senza fondamentali cambiamenti. Il padre di mio nonno andava in bicicletta, mio nonno anche, mia madre, da buona padana aveva la sua bicicletta da donna, io pedalo e mia figlia si diletta con la sua biciclettina. I mezzi sono concettualmente identici, cambiano alcuni accidenti (che ne hanno migliorato l’efficienza), ma la sostanza dell’oggetto è la stessa. Se il mio bisnonno ripiombasse sulla terra, potrebbe salire sulla mia Legnano senza battere ciglio, e andarsene all’osteria!
Nella nostra cultura la bicicletta è un oggetto amico, conosciuto, utilizzato (se non da noi, dai nostri figli, amici, parenti vicini o lontani): tutti ci si sono messi in relazione.
In questo senso la meraviglia nasce dallo scoprire che già molti decenni fa l’uomo aveva piuttosto chiaro cosa voleva, e in pochi anni è riuscito a formalizzare e poi creare l’oggetto del desiderio.
Forse il parallelo che mi viene da fare è con il libro, inteso come oggetto, come insieme di pagine numerate, stampate e rilegate.
Anche se costantemente le statistiche ci dicono che noi italiani leggiamo poco e sempre meno, in ogni caso, il libro è un oggetto con il quale da centinaia d’anni l’uomo si relaziona. Anche un analfabeta sa riconoscere un libro, sa mettercisi in relazione, anche se magari non sa bene cosa farci. La bicicletta fa parte in modo profondo di una cultura nazionale.
Poi certo va detto che per un gruppo ristretto di persone, la bicicletta diventa uno strumento che rasenta l’arte, o quanto meno l’artigianato di altissimo livello. In questo caso per decifrare tali contenuti emozionali non bastano più le informazioni di base, ci si deve addentrare in un mondo nel quale la bicicletta diventa lo strumento o il mezzo per soddisfare bisogni di conoscenza, di bellezza, di realizzazione di sé, di guadagno, di riscatto sociale, di comunanza. Si della comunanza ho detto sul blog dei Lobos, ci ritornerò, è un pensiero a cui tengo molto.
Mi rendo conto che ho parlato di biciclette, di relazioni, ma non di personaggi: io penso che la storia, e quella della bicicletta è un pezzo della nostra storia sia costruita dai piccoli accadimenti (per i patiti della storia e della storiografia il punto di riferimento sono i francesi dell’Ecole des Annales) che moltiplicati per milioni di persone rendono speciale ed emozionalmente incandescente la relazione fra bicicletta e umano. Per quanto sia deprimente il ciclismo professionistico su strada, è ancora uno sport di popolo, ed è lì nel popolo che vanno ricercati i significati. Solo una cultura può produrre dei miti. Senza cultura non ci possono essere miti.
In tal senso si compie nuovamente il miracolo, per chi ci crede, che la bici da oggetto inanimato diventa un soggetto-oggetto prima nella mente e poi attraverso il corpo.
Il miracolo è compiuto la bici sta in equilibrio e procede. L’uomo la guida…e la donna? Pure!


Contributo di Emanuele "Ema" Gandolfo

mercoledì 2 dicembre 2009

Uomo o bicicletta?

Fausto Coppi su Bianchi. Eddy Merckx sull'omonimo marchio. E poi Joe Breeze su Schwinn Excelsior. Jaquie Phelan su Cunningham. Tinker Juarez su Klein Attitude. Ned Overend su Specialized. Shawn Palmer su Specialized FSR. John Tomac su Raleigh. E quanti altri. Quando uomo e bicicletta diventano icona. E narrano di epiche imprese. Ma quanto merito all'uomo e quanto alla bicicletta? O meglio, quanto prestigio all'uomo e quanto alla bicicletta?
La tanto idolatrata bicicletta è un semplice attrezzo sportivo, o invece il tramite che consacra alla leggenda l'uomo pedalatorio?
Non so se abbiate mai ragionato un attimo sulla cruda realtà che descrive l'oggetto bicicletta come un'entità priva di una propria configurazione spaziale. Non sta in piedi da sola, ma acquista senso solo quando è utilizzata dall'uomo che la pedala. Terribile. Muri per essere appoggiata, cavalletti e mille altri pochi dignitosi trucchi per conservarla in equilibrio in assenza di azione. Una riflessione alquanto bizzarra che però individua un reale e pesante difetto della bicicletta. Si, difetto. Una reale dipendenza della bicicletta all'uomo, che altrimenti cessa di esistere se non lanciata nella sua corsa ed azionata da portentosi quadricipiti. So che siamo abituati a vedere tra quei quattro tubi qualcosa di mistico e ai confini con il divino. Ma basta analizzare l'aspetto con freddo realismo ed ecco che la bicicletta diviene soltanto strumento. O certo manufatto estetico privo di vita.
Sotto l'altro aspetto l'uomo, come essere evoluto e dotato di un intelligenza superiore, dispone di possibilità di espressione sportiva illimitate e che non dipendono così da un attrezzo, e per meglio dire non creano un parallello così profondo come uomo e bicicletta. Basta pensare alla corsa a piedi che non necessita di nessun oggetto. Forse soltanto nell'arte l'uomo si fonde con un attrezzo in modo così completo, un esempio su tutti lo è il musicista con il suo strumento.
La complicità e l'unione tra uomo e bicicletta è quindi unica, e forse uno dei più alti paralleli tra oggetto e uomo nella pratica sportiva. Un icona che nell'immaginario collettivo si imprime come unione di mezzo e conduttore. Non è ricordata la tal bicicletta senza far riferimento al personaggio, e non è forte il personaggio se non legato al mezzo che portava. Un parallelo che diviene appunto icona e crea un'unica entità che depersonalizza il singolo ma è alimentata dalla forza di entrambi. La bici non ha più merito nella leggenda dell'uomo che la portava e il contrario. Giusto?

martedì 1 dicembre 2009

sulla destra, più avanti

Le finestre sono importanti nella mia vita.
Dalla finestra di casa mia vedo solo il cielo, stando steso sul divano.
D'estate ogni tanto passano le rondini.
Dalla finestra del bagno dell'ufficio, aprendo il basculante e sporgendomi un po', vedo i colli. Riconosco ogni singola cima. Chiudo un attimo gli occhi e mi pare di sentire il profumo delle foglie bagnate.
Tornare a sedermi alla scrivania è come andare in guerra ad uccidere sorridenti abitanti dei tropici dopo aver salutato la propria donna.
Dalla finestra del mio nuovo ufficio posso spiare un vivissimo paesaggio urbano. Passa una ragazza con una vecchia bici colorata. Dall'alto sembra bella. Chissà chi è. Dove va. Se mi amerà mai.
Sporgendomi e guardando sulla destra, più avanti, vedo le montagne innevate.
Non le riconosco, ma l'odore è fortissimo. Sento il bosco. Il vento. Il sorriso che disegno sulla montagna con gli sci. Attorno a me nient'altro che il bianco.

Domani mi licenzio. Mi basta guardare sulla destra, più avanti.

Contributo di Andrea Beppogatto