martedì 21 giugno 2011

Sestriere 1911


(images courtesy of flickr/radcore.at)
contributo di Francesco "France" Cerchio
23 maggio 1911, quinta tappa del terzo Giro d’Italia, Mondovì - Torino, 302 km, per la prima volta vengono superati i 2000 metri di altitudine, vince Petit Breton, che corre per la Fiat usando un cambio rivoluzionario a due velocità. La cronaca originale qui.
23 maggio 2011, cent’anni dopo, alla stessa ora, 4,35 del mattino 15 cicloamatori austriaci del collettivo Radcore a cui mi sono unito dopo averli conosciuti via email, partono da Mondovì nella fredda aria notturna, con la strada rischiarata da una mezza luna.
Il percorso si snoda alle prime luci del giorno attraverso l’alta Langa, su e giu nelle colline più aspre, coltivate a nocciole (..quelle della Nutella). Dopo Alba si prosegue nella pianura in direzione delle montagne fino a Pinerolo, dove comincia il tratto più impegnativo del percorso, 55 km per circa 1700 mt di dislivello.
L’idea mi ha entusiasmato subito, ripercorrere un percorso del cosiddetto ciclismo eroico, quello dei primi anni, strade bianche e distanze che oggi sembrano incredibili (i 320 km finali sono quasi 3 granfondo odierne), anche se usando bici moderne e facendo i conti con un traffico che allora non esisteva proprio. Arrivare a Sestriere prima, scendere veloci fino a Susa e poi, al tramonto arrivare a Torino è stata un’emozione forte, soprattutto perché condivisa fino in fondo con un gruppo di ciclisti che in una giornata ho imparato a conoscere e che sono diventati amici con cui voglio vivere altre esperienze di questo tipo. Alla fine la bicicletta ha questo potere incredibile, ti permette di metterti alla prova ad armi pari con altre persone e condividendo lo sforzo, la strada e le emozioni conoscere te stesso e gli altri in modo unico. Però, le lunghe ore passate a pedalare costringono anche a pensare, in questo caso alle diverse esperienze ciclistiche.
Mi è venuto da pensare che i ciclisti moderni sono diventati convenzionali, legati a mode del momento, frutto del marketing. In pochi riescono a concepire una bicicletta non convenzionale e un modo di pedalare diverso dagli stereotipi imperanti. La prova che considero più eclatante è la singlespeed, che è la bicicletta originaria, la più semplice, che quasi tutti considerano un’idea demenziale o interpretano in modo demenziale. Lo stesso quando parli di un giro di 300 km con altri ciclisti, anche molto forti e allenati, la risposta è sempre la uguale, “troppo lungo, troppa fatica, troppo tempo”. L’idea di provarci non viene neppure presa in considerazione. Anche la definizione di Ciclismo Eroico che viene affibiata al ciclismo dei primordi, mi sembra frutto di questa mentalità, senza nulla togliere all’eroicità dei primi ciclisti che erano davvero incredibili. All’Eroica si celebra questo ciclismo, ma poi la maggioranza dei partecipanti sceglie i percorsi più brevi. Una sorta di pantomima del ciclismo eroico. Un mettersi in gioco a metà. Forse i singlespeeder e i randonneur sono i ciclisti che incarnano meglio lo spirito un po’ anticonformista che è connaturato alla bicicletta, mezzo per sua natura non convenzionale e adatto alle più diverse interpretazioni.
Credo che i percorsi lunghi e le classiche del nord europa, anche in versione amatoriale siano gli eventi che anche oggi ci consentono di avvicinarci di più allo spirito originale del ciclismo.
more info: sestriere1911.org

3 commenti:

  1. France ed i ciclisti del Radcore: avete portato a termine qualcosa di spettacolare, complimenti! Il ciclismo moderno vive con voi e con quelli come voi...

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  2. Posso non essere d'accordo ?
    Nonostante il mio cronico sovrappeso ?

    Singlespeed l'anima del ciclismo

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